Di loro Little Steven dice: “Con una sezione ritmica alla Stax, chitarre stonesiane e una tra le voci più soul che io abbia mai sentito ci regalano canzoni di cui Smokey Robinson e Van Morrison andrebbero fieri”. Un giudizio così lusinghiero ha portato il chitarrista di Springsteen (o il Silvio Dante dei “Sopranos”, se preferite) prima a mandare ripetutamente in onda i brani dei Breakers nel suo programma radio “Underground Garage” e poi ad ingaggiare la band di Copenhagen per la sua etichetta Wicked Cool.
E’ così che il gruppo danese giunge al terzo album, dopo “What I Want” (2004) e “Here For A Laugh” (2006).
Un disco in cui Little Steven mette lo zampino producendolo e co-firmando sette dei dodici brani che ne compongono il programma sonoro.
Una sorta di marchio di garanzia. Non a caso “The Breakears” è un emozionante viaggio in cinquant’anni di rock’n’roll impastato di garage, di soul e R&B. Un viaggio che si consuma in quaranta minuti in cui il quintetto danese – Toke Nisted (voce), Anders Bruus e Klaus Højbjerg (chitarre), Jackie Larsen (basso), Thomas Støisvig (batteria) – passa senza soluzione di continuità da coinvolgenti episodi garage-oriented come “Start The Show” o “Riot Act” (scelto anche come singolo) a ballatone quali “Rainy Day”, “If You Please” o “Union Street” che mettono in evidenza la bella voce, roca e grintosa, di Nisted che in più di un passaggio ricorda quella di Rod Stewart ai tempi dei Faces. Ma il disco ci riserva altre sorprese come l’R&B di “Soulfire”, il groove funk di “New York City”, il soul di “If You Need Someone” con tanto di organo Hammond e cori femminili. Senza dimenticare la grande carica rock’n’soul di “Temptations”. Una bella sorpresa.
Autore: Roberto Calabrò