Oltre il post-rock, oltre il noise, oltre il pop e soprattutto il math-rock. Con “Gloss Drop” i Battles, divenuti un terzetto per via della dipartita del cantante Tyondai Braxton, grazie alla voglia ancora enorme di sperimentare e di giungere a territori sonori sconosciuti, riscrivono, forse inconsapevolmente, le linee dell’indie-rock rivelandosi innovativi come pochi.
“Gloss drop” è un oggetto strano, affascinante, attraente e poco identificabile, per questo ancora più intrigante. Merita attenti ascolti per esaminarne le tante trame e le schegge sonore rese pop da strani intarsi di prog o di spunti electro, deviati in loop saltellanti e screziati che superano la linee di confine tracciate dal p-funk.
“Gloss drop” si differenzia molto dal precedente “Mirorred”, che per certi versi era ancora molto legato ai gruppi da cui provenivano i componenti (Helmet, Storm & Stress, Tomahawk e
Don Caballero), mentre con questo disco il terzetto – Ian Williams, John Stanier e Dave Konopka – è riuscito ad emanciparsi scrivendo dodici tracce diverse e orecchiabili.
Si percepisce che dietro queste canzoni il lavoro sia stato lunghissimo. Invece la mancanza di Braxton è stata compensata con le voci di quattro cantanti altrettanto bravi: Gary Numan che personalizza “My Machines”, l’episodio più oscuro e violento dell’album, Kazu Makino dei Blonde Redhead che interpreta una buona “Sweetie & Shag”, Matias Aguayo che canta nel singolo “Ice Cream”, e Yamantaka Eye dei Boredoms che da il meglio di se in “Sundome” traccia conclusiva dell’album.
Sicuramente uno dei dischi dell’anno.
Autore: Vittorio Lannutti