Il settimo disco degli svedesi Covenant continua ad approfondire l’elettronica pop degli anni 80, con le ben note atmosfere scure, apocalittiche, romantiche e wave, ed i chiaroscuri narrativi cui il terzetto, formato da Eskil Simonsson (voce + synth), Joakim Montelius (synth + cori), e Daniel Myer (synth + cori) ci ha abituato in una carriera musicale iniziata negli anni 90 (l’esordio discografico è del 1994), e che è proceduta un po’ piatta nel cono d’ombra di band come Prodigy, Chemical Brothers ed Underworld.
Cronicamente incapaci di rinnovarsi, i Covenant si muovono comunque con onestà artistica tra la propria autentica vocazione electropop ed il tentativo di esprimersi anche tramite la techno, l’industrial ed il synth noise; sapendo però scrivere ritornelli niente male, e ritrovandosi un cantante che ricorda le grandi voci degli anni 80, come Dave Gahan (Depeche Mode), Andrew Eldritch (Sisters of Mercy) e Neil Tennant (Pet Shop Boys), la band riesce ad accontentare gli appassionati di quel mondo musicale su cui negli ultimi anni si sono riaccesi i riflettori. Suoni modernissimi e buona produzione, ma idee molto ripetitive, e francamente poco slancio emotivo; i Covenant rimangono così, inevitabilmente, una band minore, che rimane a galla soprattutto grazie ai suoi fans tedeschi ed inglesi.
Da precisare che l’album Modern Ruin esce nei negozi anche in una edizione digipack, doppio CD arricchito coi soliti remix, con copertina nera.
Autore: Fausto Turi