Non delude le attese, Daniel Martin Moore, dopo il bel disco d’esordio Stray Age (2008) e soprattutto dopo Dear Companion www.freakout-online.com/album.aspx?idalbum=1886in coppia con Ben Sollee, tra i nostri album preferiti del 2009.
Messa da parte la timidezza iniziale, grazie alle conferme artistiche ottenute in questi due anni, il cantautore del Kentuky ora si muove senza alcuna ingenuità – fintamente casuale lo scatto in copertina con microfono anni 50, le foto promozionali o il videoclip omonimo in bianco e nero, che rivelano una vaga somiglianza col Dylan del Greenwich Village – ampliando il proprio repertorio fatto sinora soprattutto di limpido folk acustico – toccanti, qui, soprattutto la sussurrata ‘Softly and Tenderly’ per piano, voce e violino, puro stile Tom Waits, o l’armonica e armoniosa title track, solo voce e piano – e lanciandosi in un folk stile Nashville intitolato ‘Dark Road’, o in un boogie intitolato ‘Up above my Head’: sempre però rigorosamente acustici, va detto.
Del resto in ‘Oh my Soul’ c’è anche una scrittura musicale più complessa, forse per la prima volta, con piano, organo, e batteria.
Rimangono sempre forti sia l’approccio tradizionalissimo, seppure completato con una produzione dei suoni di buon livello, che attualizza immediatamente l’album al 2011, sia i temi biblici ed evangelici delle canzoni, da sempre cari a tutto il folk tradizionale americano, che completano il quadro intimista, bucolico, completamente messo a nudo di In the Cool of the Day.
Dolcemente tedioso, e ben scritto ed eseguito, questo disco amplierà molto la fama del giovane musicista anche al di fuori degli ambienti dei College americani, dove comincia il successo del nostro. Forse però il minimalismo di Moore in alcuni casi finisce per impoverire brani che altrimenti avrebbero potuto guadagnare il peso specifico del piccolo classico.
Autore: Fausto Turi