‘No Ghost’ non è disco da ascolto casuale perchè rischiereste di stancarvi dopo poche note, pensando che non se ne può più dell’orda canadese, di sonorità alt-folk con velleità pop, di cose alla Okkervill River, di melodie cristalline immerse in stralunate composizioni new weird, di spocchiosi intellettuali accuratamente sciatti.
Ed invece non è così: dovreste regalarvi un pò di tempo per ascoltarlo così come han fatto The Acorn per comporlo.
Loro hanno optato per una fuga dalla città e si son rifugiati in un cottage in un bosco nel Qebec; il risultato è la prova di quanto possa far bene spostarsi in campagna in cerca di quiete e viversi un mondo tranquillo fatto di falene e lucine notturne. E ‘No Ghost’, infatti, rifulge di tanta luce.
Vi accorgerete allora – se vi siete predisposti secondo indicazioni – di quanto possa essere protagonista uno strumento relativamente minore come un banjo (‘Slippery When Wet‘) o di come sia possibile colorare con un pizzico di elettronica un brano di impianto tendenzialmente tradizionale come l’iniziale ‘Cobbled From Dust’.
‘Restoration’ promette quanto c’è nel titolo: un momento di energia collettiva, tre minuti di gioia in crescendo per voce, cori, chitarre e batteria in levare, ideale colonna sonora per un picnic tra amici.
Le frazioni più intimiste dell’album riflettono la stessa luminosità degli episodi più sostenuti, risolvendosi in acquerelli dai colori decisi e ‘Misplaced’ e ‘On The Line’ ne sono deliziosi esempi.
‘I Made The Law’, con le chitarre che si lasciano finalmente andare, ha un retrogusto un pò ‘selvatico’ alla Akron Family.
‘Crossed Wires’ rivela quanto Rolf Klausener ed i suoi amici non siano affatto degli sprovveduti in fatto di pop americano ed abbiano seguito con grande attenzione la lezione sulle armonizzazioni vocali (che ad altri contemporanei ha fatto fare soldi veri sulla tomba della West Coast).
In sintesi questo è davvero un buon disco, ma non memorabile e questo è dovuto anche ad un eccesso di offerta in un ambito musicale che tratta di cose un pò crepuscolari, di piccola poesia quotidiana, di pop ‘sotto voce’ che – come si diceva in apertura – fà fatica a catturare, figurarsi poi se c’è anche una sovraesposizione mediatica che questo tipo di proposte – paradossalmente – le banalizza e svilisce.
Allora forse sarebbe il caso di uscire dalle stanzette (e dai cottage) e ricominciare a pensare – almeno nella musica – un pò più in grande.
Autore: A.Giulio Magliulo