Anche se piuttosto pubblicizzato in questi giorni, il lavoro solista di Phil Selway è un disco in tono minore, quasi completamente acustico, e con poca di quella elettronica che ha caratterizzato gli ultimi lavori dei Radiohead, la band in cui Selway milita come batterista.
Phil si aggiunge così al leader Tom Yorke nella lista dei membri Radiohead che hanno pubblicato per vie solitarie, nel suo caso scegliendo la bella etichetta indie Bella Union.
Come per tutti i lavori solisti di militanti in gruppi famosi, verrebbe da chiedersi se c’era proprio bisogno di un LP individuale che ricalchi lo stile e la sonorità della band (vedi Dave Gahan o lo stesso Yorke). Ma in questo caso si può fare un’eccezione perché le sonorità Radiohead sono appena accennate, da trovarsi nella scelta melodica degli accordi piuttosto che non nelle rifiniture e negli arrangiamenti, per i quali Selway sceglie piuttosto la semplicità e la linearità, optando per l’acustica. Troveremo così un po’ più Radiohead in pezzi come Beyond Reason o Patron Saint (che ricordano le ballate dissonanti a cui la band ci ha abituato), ma A Simple Life, All Eyes on You, Don’t Look Down o By Some Miracle sono troppo semplicemente acustici per poter mantenere l’accostamento.
Vanno perciò apprezzati per quello che sono, pezzi acustici molto intimisti e dalle tonalità vagamente dark (soprattutto A Simple Life), mentre The Ties that Bind Us è l’unico pezzo un po’ più solare. Ballate molto lente, quasi country, sono invece Failing, Broken Promises e The Witching Hour.
Tutti comunque sono cantati con voce soffusa, e in un’unica tonalità: la scelta insomma è quella della sfumatura, della delicatezza, piuttosto che non del rumore o del fragore. Della batteria, poi, nessuna traccia, segno evidente della vacanza che il bravo Phil si è concesso dal suo strumento.
C’è in conclusione del talento creativo, ma i fan dei Radiohead non si aspettino che questo talento sia applicato in direzione dello stile solito: in quest’album piuttosto Selway sembra richiamarsi a Josh Tillman e agli altri attuali cavalieri dell’indie-folk. Senza però l’impressione di compiutezza che altri lavori di questo genere lasciano all’ascoltatore. Un esperimento, insomma, che rimane, forse volutamente, non del tutto declinato, con tutto il fascino che un ascolto attento può regalare per una prova di questo tipo.
Autore: Francesco Postiglione