Tra i gruppi di punta assoluti, tra quelli attivi oggi, dell’etichetta americana Sub Pop, anche per le vendite notevoli dei primi due dischi, al fianco di gente come Mudhoney, Fleet Foxes, Shins, Gutter Twins, Low, Blitzen Trapper e Twilight Singers, ci sono i canadesi Wolf Parade, dai quali ci si aspetta un salto definitivo, che li proietti ancora più in alto, dove sono ormai i concittadini di Montreal, gli Arcade Fire.
I Wolf Parade rappresentano in questo momento la restaurazione dell’indie rock americano, nonché la sonorità su cui ha puntato la Sub Pop in questi anni zero: rock blues elettrico dal suono anni 70 tipo Neil Young & Crazy Horse, indolenza stile Pavement, sottile dilatazione psichedelica, decisi innesti wave grazie al sintetizzatore e alla batteria sincopata, soprattutto in quest’ultimo disco. Che è molto bello, realizzato con pochissime sovraincisioni, oltre che onesto e scevro da furbate e cedimenti di sorta, e narra la fiaba – come annuncia il titolo – di 5 ragazzini che si conoscono all’esposizione internazionale di Vancouver del 1986, dove – giovanissimi – giurano di formare una band insieme, da grandi; non è proprio la storia del gruppo, malgrado i 5 componenti della band davvero abbiano scoperto che andarono tutti, 24 anni fa, a quell’Expo, senza conoscersi nè peraltro incontrarsi.
Riguardo i brani dell’album, sono collocati in coda i pezzi potenzialmente commerciali: ‘Yulia’ (che narra di un cosmonauta russo, negli anni 50, alla deriva nello spazio e destinato a morire a breve, che ripensa alla sua ragazza) e ‘Cave-o-Sapiens’, mentre il brano più articolato è ‘Golden Age’, l’età dell’oro, che parla di come spesso tendiamo a mitizzare il passato, immaginandolo migliore di quanto non sia stato, e a rimpiangerlo ingiustamente a dispetto del presente; e ci piace molto anche ‘What did my Lover Say?’, sintesi di ritmo, synth e chitarre rock.
Non ci sono singoli da consegnare alla storia, va detto, ed i WP sembrano avervi rinunciato, dopo l’indimenticabile videoclip di ‘Modern World’ nel lontano esordio del 2005, cosa che, unita al loro atteggiamento slaker, schivo, e alla mancanza assoluta di pose da star, ne impedirà sempre, crediamo, quel salto definitivo di popolarità cui si accennava all’inizio.
Per altro, come nel precedente disco ‘At Mount Zoomer’ (2008), non ci sono ballate acustiche.
Dei due geniali leader della band, questa volta pare che Spencer Krug (l’anima wave, leader anche dei fantastici Swan Lake) abbia preso leggermente il sopravvento – emblematica la sua ‘In the Direction of the Moon – su Dan Boeckner (l’anima rock, leader anche degli Handsome Furs), che risponde col brano electro intitolato ‘Ghost Pressure’ e che, dal canto suo, comparirà ospite sul prossimo album dei Dinosaur jr, pensate un po’.
Autore: Fausto Turi