“Hello, grazie e benvenuti, si ricomincia”; recita cosi il primo verso della nuova opera di Nick Zammuto e Paul de Jong, quarto album della band newyorkese tra le protagoniste della ondata indietronica dello scorso decennio, ma proprio come recitano i primi versi, proiettata per una nuova interpretazione del genere, facendo perno sulla qualità del gruppo a confezionare gioiellini art-pop farciti di singolari intarsi folk-tronici, ingredienti volti a ridisegnare la definizione di ”canzone”.
I The Books rappresentano l’ennesimo caso di un gruppo che si ama o che lascia indifferenti, di quelli che sfuggono al primo ascolto ed è necessario riprodurre numerose volte prima di cogliere il risultato di una ricerca musicale influenzata dalla letteratura americana di Borroughs, dedita al cut-up, con una propensione tutta newyorkese per la poesia urbana, e la rincorsa alla frontiera sempre un passo avanti.
Le opere che hanno pubblicato ed il successo che riscuotono presso il pubblico che riempie le sale in cui si esibiscono, ne fanno una band consapevole della validità del progetto musicale che gli appartiene; una proposta che rivela la maturità artistica anche in questa quarta opera, arrivata a cinque anni di distanza da Lost and Safe, a testimonianza della profonda riflessione necessaria nella realizzazione di opere tanto complesse, ma sempre attente a coniugare la sperimentazione sull’elettronica con un linguaggio accessibile al grande pubblico.
Dall’enfasi che ho provato a trasmettere nella stesura di queste poche righe introduttive, si percepisce che mi risulta un esercizio superfluo e riduttivo citare le tracce ed i momenti significativi di un album tanto ricco di spunti creativi e di significativi passaggi epici, chiaramente manifestati nel brano “Free Translator”, che lo candidano, fin da ora, ad occupare una posizione molto alta nella mia playlist di fine anno.
Autore: g.ancora