Con quelle facce da bravi ragazzi bianchi che si ritrovano, Ben Sollee (voce, violoncello) e Daniel Martin Moore (voce, chitarra) ci ricordano tanto Kings of Convenience e Simon & Garfunkel, e in effetti anche musicalmente il paragone regge. Il loro folk intimista, confidenziale, sussurrato, spesso cantato a due voci, è talmente esile da sembrare a tratti quasi una registrazione demo, e tuttavia nei momenti più intensi i due musicisti riescono a ricreare armonie bucoliche toccanti e di grande suggestione, soprattutto grazie alle armonie vocali, ma anche con partiture acustiche violoncello/chitarra che tentano senza pretese di riproporre l’effetto magico dei quartetti per archi (lo strumentale ‘Flyrock #2’, o la coda finale di ‘Sweet Marie‘).
Per la verità l’iniziale ‘Something, Somewhere, Sometime’, come pure ‘Needn’t Say a Thing’ e ‘Try’ sono pezzi country con arrangiamento tradizionale, con tanto di batteria, banjo e slide guitar elettrica, e ricordano molto le canzoni degli Everly Brothers, mentre e l’omonima ‘Dear Companion’ accenna persino qualche vago elemento indie; le restanti 7 canzoni, come dicevamo, sono esili sussurri folk senza percussioni o elettricità, le cui melodie vanno a segno nel caso della commuovente ‘My Wealth Comes to Me’, della conclusiva, bucolica ‘It Won’t be Long’, e soprattutto della cristallina ‘Sweet Marie’, vero pezzo forte del repertorio, da tenere a mente.
Dall’unione di Ben Sollee e Daniel Martin Moore potrebbe nascere un duo notevole, se saranno capaci di insistere sulla ricerca delle armonie vocali.
Delle 11 canzoni, 4 sono state composte da Sollee, 5 da Moore, e 2 firmate da entrambi, ed il produttore del disco è Yim Yames (musicista nei My Morning Jacket e nei Monsters of Folk); tutti e tre artisti del Kentucky, inoltre, conosciutisi a quanto pare attraverso myspace dopo che Moore nel 2008 aveva pubblicato Stray Age – di cui pure scrivemmo bene – e Sollee aveva pubblicato Learning to Blend, e l’intento del disco è anche quello di denunciare un problema a loro evidentemente molto a cuore: il c.d. “mountaintop removal” (MTR), una pratica mineraria che sta massacrando la catena montuosa degli Appalachi da 30 anni circa: consiste nel raggiungere i giacimenti di carbone all’interno delle montagne, facendone saltare per aria con la dinamite l’intera calotta superiore, con grave impatto ambientale, paesaggistico, e sulla salute umana per le polveri che si disperdono nell’aria, e l’inquinamento delle acque.
Ben Sollee – Prettiest Tree On The Mountain from LaundroMatinee on Vimeo.
Autore: Fausto Turi