Americano di nascita, ma danese di adozione – dal 1990 al 1995 ha però vissuto in Italia, precisamente in Toscana, dove qualcuno magari lo ricorderà poichè pare suonasse dappertutto coi suoi Einsteins Explosive Bullie Brothers…. – J.Tex riesce a fotografare ora, con i suoi Volunteers, quell’attimo, verso la metà degli anni 50, in cui il rock’n’roll era prossimo alla nascita, e le musiche più scatenate erano il country-folk ed il blues.
Con la collaborazione, in alcune canzoni, anche della voce femminile della cantante americana Lynda Kay Parker, Tex viaggia attraverso un’epoca andata, non rinunciando però a linguaggi più moderni, allestendo così un album tra i più interessanti, nell’ambito delle produzioni recenti dell’etichetta europea specializzata in revival, Heptown. L’impianto delle canzoni è molto narrativo – ‘Getting All Wrong’ racconta una storia adorabilmente retorica di sangue, fame e gentili musicisti vagabondi nel vecchio Mississippi – sullo stile formale di Pete Seeger, del primissimo Bob Dylan e di Woody Goutrie, senza però l’impegno politico di questi; e se nella seconda parte dell’album i toni si fanno più intimisti e confidenziali, la prima parte al contrario varia i ritmi sino al bluegrass. Lost between Clouds of Tumbleweed and Space (2005) e Misery (2008) i titoli dei precedenti lavori della band.
‘Man on the House’ e ‘That’s What You Want’ aprono il disco e sono due potenziali singoli country, ed in particolare il secondo brano affascina, con chitarre fuzz e tremolanti su ritmica acustica. Importante anche il modello di Tom Waits, per l’artista danese, che si fa infatti crooner proprio a quella maniera in ‘One Of These Days’, ed anche quello di Bruce Springsteen, particolarmente dei primi due album, fine anni 70; un chiaro riferimento vaudeville in ‘Shrimps & Salads’, poi, mentre ‘All I Wanted was You’ riprende i teneri duetti dei coniugi June e Johnny Cash, con organo ed acustiche.
Qualche cover, sul finale, tra le quali ‘Do Re Me’ di Woody Gouthrie, e ‘Paradise’ di John Prines, e il disco si conclude con ‘Banjo Surf’, strumentale il cui titolo dice tutto.
Autore: Fausto Turi