Le cantautrici femminili che sanno graffiarmi il cuore sono le rocker incallite (PJ Harvey), meglio se coi baffi (Patti Smith), e possibilmente cattive (Diamanda Galas), oppure le ugole frementi su accordature folk (Larkin Grimm), o ancora quelle palpitanti in vibrazioni soul (Beth Gibbons, Sara Lov). I pochi nomi fatti dovrebbero essere sufficienti ad illustrarvi quanta scarsa sia la mia familiarità con le interpreti italiane e quanto io sia generalmente poco attratto dalle voci al miele come quella della ventisettenne riminese Chiara Raggi. Se quindi già in partenza non è stato facile avvicinarmi alle canzoni di “Molo 22”, devo anche dire che – gusti personali a parte – non sono stato molto facilitato nel compito da una tracklist certo ben curata ma a conti fatti non particolarmente emozionante. Attorniata da strumentisti di sicuro valore, l’esordiente Chiara esibisce è vero una discreta varietà di timbri espressivi e padroneggia già piuttosto bene la propria scrittura, ma il suo canzoniere fatto di sospiri d’amore (“E’ cambiata la notte”), di nostalgie uggiose (“Stomaco e musica”) e di ripiegamenti introspettivi (“Inesorabile fragilità”), incespica pure in irritanti frivolezze (“Moschina”) e in evitabili pose alla Cristina Donà (una “Confessioni” tinteggiata di bossanova), Il pop obliquo della title track ed il semi-recitato di “Alcune mattine” sono a mio avviso gli episodi più riusciti di un disco che illanguidisce in eleganti abiti accademici ancora odoranti di naftalina.
Autore: Guido Gambacorta