Matt Shultz (voce), il fratello Brad (chitarra) e i loro amici Daniel Titchenor (basso), Lincoln Parish (chitarra) e Jared Champion (batteria) vengono dalla sconosciuta cittadina di Bowling Green, Kentucky. Per molta stampa americana, particolarmente euforica nei loro confronti, sono l’ennesima band che farà parlare tanto di sé nei prossimi anni.
Quel che è certo è che il loro tratto originale non consiste nel sound: (modo di cantare e strumentazione, sono fortemente ispirati ai Kings of Leon, mentre per gli arrangiamenti e riff perscano dal repertorio classico, Led Zeppelin e Rolling Stones soprattutto) ma nel tentativo di mixare questo sound, tipicamente yankee, con testi impegnati, spesso di profondità ignota a questo tipo di rock americano, che strizzano quindi un po’ l’occhio ai Rage Against the Machine pur non avendone la carica cattiva e polemica.
Anzi, il loro rock impegnato è quasi spirituale, considerando anche che l’elefante che dà il nome alla band è la ripresa del simbolo indiano di forza e saggezza. Ed esplicitamente i cinque invitano a “catturare l’elefante” per imprigionare quanto di energia positiva può trovarsi ancora in tempi tanto bui, tempi così bui da ispirare canzoni come Aint No Rest For The Wicked, o In One Ear, o ancora Judas, forse il loro pezzo più intenso.
Musicalmente, però, questa originalità è tutta da provare: oltre al richiamo esplicito (anche troppo) ai già citati Kings of Leon, sentiamo in loro qualche eredità di Beck, o dei Red Hot, per via del suono grintoso e arrabbiato ma mai fino in fondo hard. E se James Brown o Back Stabbin Betty sono davvero pezzi dinamici e veloci, Lotus, e Tiny Little Robots sono già un po’ più convenzionali. C’è sicuramente una lodevole capacità compositiva ed esecutiva, il suono esce perfetto nelle sfumature blues di Soil to the Sun o Free Love, ma non si dirà certamente che i cinque inaugurano un nuovo genere con quest’album. Semmai, sembrano piuttosto degli ottimi ed energici epigoni di band più blasonate che sono il loro esplicito punto di riferimento musicale. Sta di fatto che fra Atlantico e Pacifico questo suono piace, se è vero che prima ancora del primo album i Cage hanno già calcato i palchi del Lollapalooza e del Bonaroo, e hanno fatto da supporter ai Queen of the Stone Age.
Attendiamo allora il loro passaggio in Italia per vedere se l’elefante yankee riesce a conquistare l’esigente pubblico indie nostrano.
Autore: Francesco Postiglione