Josh Tillman si può senz’altro definire un integralista dell’indie. Ormai siamo al settimo album, e dopo aver pubblicato “I Will Return e Long May You Run” per la Keep Recordings, “Minor Works” per la Fargo, “Documented” addirittura autoprodotto, “Cancer & Delirium” per Yer Bird, sembra che la Bella Union sia l’etichetta del 2009: nello stesso anno infatti l’attivissimo Josh ha già pubblicato il bellissimo “Vacilando Territory Blues” e un DVD/Ep dal titolo “Isle land”. Ora, a fine settembre, esce Year in the Kingdom, che ovviamente prosegue la storia musicale enormemente talentuosa di questo artista che già definimmo un folk-singer post-moderno.
L’etichetta per gli appassionati del folk è di tutto rispetto: già vi pubblica Peter Broderick, nonché il gruppo di Tillman, i Fleet Floxes, e anche con questo album la Bella Union non sbaglia il colpo.
Rispetto al precedente, qui Tillman sembra cercare una comunicazione più aperta, meno intima, e soprattutto meno dolorosa: alle tinte fosche dei brani di apertura di Vacilando Territory Blues qui fanno da contrasto il crescendo solare dell’intro di Crosswinds e il calore (soprattutto vocale) di Earthly Bodies o Howling Light.
Certo non ci aspetteremo canzoni ritmate e propriamente gioiose, ma gli accordi e le scelte melodiche e strumentali (presenti anche per esempio in There is No Good in Me) sono più ariose.
Per altri aspetti, invece, Year of the Kingdom sembra una continuazione della ricerca artistica di questo 2009: lo è la Title Track, lo è Age of Man, e del resto, siamo sempre di fronte a Josh Tillman e al suo marchio di fabbrica, che più che la chitarra acustica è forse la sua incredibile voce, calorosa, profonda, ipnotica, cupa e tranquillizzante allo stesso tempo e a seconda della canzone.
Vero artista post-moderno e indie, Josh Tillman è di quelli da seguire nel tempo: garanzia di qualità e allo stesso tempo di evoluzione continua. Impossibile rimanere delusi.
Autore: Francesco Postiglione