Le note per la stampa che accompagnano il cd raccontano della “gestazione” lunga e tormentata di questo lavoro. Pare che la band parigina, per quanto s’impegnasse, non riuscisse a trovare l’”alchimia” giusta, nonostante la ricerca d’ispirazione l’avesse portati a sperimentare le sale-prova più disparate (un hotel di New York, un battello sulla Senna, lo studio che fu del pittore ottocentesco Théodore Géricault). Il continuo peregrinare li ha portati infine nello studio domestico di Philippe Zdar, amico di lunga data della band nonchè membro dei Cassius, ed è qui che finalmente le cose hanno cominciato a girare nel verso giusto. La “chimica” ritrovata costituisce la base per un disco intenso e romantico (di quel romanticismo carico di pathos che solo i francesi…), in cui una sottile linea malinconica attraversa anche i brani dall’incedere più marcatamente dance. I Phoenix che, bisogna dargli atto, sono diventati davvero abilissimi nell’assemblare stimoli rock a sonorità elettroniche (“1901”), alternano con furbizia e mestiere brani più “piacioni” e patinati (penso al falsetto e l’andamento super-cool della languida “Fences”) a canzoni capaci potenzialmente di sciogliere il cuore di migliaia di giovani indie-rockers (“Lasso“, che potrebbe piacere anche a fan di gruppi come i Foals; il pop-rock incalzante di “Girlfriend“). Non siamo davanti ad un capolavoro, ma è impossibile non applaudire un songwriting stiloso come quello dei Phoenix, capaci di giocare col pop con una leggerezza che non sfocia mai nella superficialità.
Autore: Daniele Lama