In rete, c’è anche chi non ci crede, che i Welcome Wagon siano davvero il fantomatico reverendo Vito Aiuto (!) e sua moglie Monique, giovani predicatori presbiteriani dallo stiloso abbigliamento dandy, e per un po’ il dubbio l’abbiamo avuto anche noi: che i predicatori fossero prestanomi, o non esistessero affatto, e l’intero progetto fosse un pseudonimo puro e semplice di Sufjan Stevens, il giovane guru del folk moderno indipendente. Ma tant’è: in rete c’è qualche foto che li ritrae insieme, tutti e tre, fisicamente, Sufjan ed i suoi amici Vito e Monique: Sufjan Stevens in ogni caso produce il disco, vi suona, canta e dà un’impronta molto forte, in linea con le uscite discografiche sfornate a proprio nome. Soprattutto musicalmente, però, perché nei testi delle canzoni, beh, il disco di Welcome Wagon è particolare, eccome. Trattasi di 12 canzoni – pubblicate da Asthmatic Kitty – su tema religioso, cristiano, sul genere Half-Handed Cloud e Danielson Famile: il folk cristiano americano delle tante sette e congreghe, che facilmente generano, specie in noi europei, un’istintiva diffidenza, e sospetto di fanatismo e chiusura mentale. Però il fanatismo può annidarsi ovunque, anche di qua dell’Oceano, e in ogni caso questa musica è bella e soprattutto sincera, e vince ogni pregiudizio. I Welcome Wagon raccontano di sofferte conversioni, di profonde lacerazioni interiori risolte nella fede, dell’importanza di accogliere il prossimo in difficoltà, dell’etica del sacrificio; quest’ultima più discutibile, per la verità.
Canti sacri, certo, quasi tutti originali, o ricavati adattando stralci di salmi, ma una forma folk acustica moderna e indie; quasi mai vere e proprie canzoni da chiesa, arrangiate col contributo estroso di Sufjan Stevens, con handclap, banjo e chitarre acustiche, o batteria, pianoforte, trombone e tuba, come in ‘You Made my Day’. E ritmi che salgono, come l’entusiasmo, del resto, in alcuni brani più movimentati. Poi: un modo di rivolgersi a Dio, come se fosse tipo un amico, da pari a pari, insomma: molto, molto americano. C’è anche una cover di ‘Jesus’ dei Velvet Underground, ma l’episodio più bello per noi è ‘Half a Person’, cover degli Smiths, che parla di fede: una canzone di un candore mozzafiato pure per dei miscredenti incalliti. E c’è spazio anche per qualche elemento black, a rifinire alcuni inni, ovviamente, perché in America parlare di canti sacri e non omaggiare il gospel ed il soul, è peccato mortale. Beh, si fa per dire…
Disco piacevole: buon antipasto, in ogni caso, in attesa del prossimo atteso lavoro solista a nome Sufjan Stevens.
Autore: Fausto Turi