Damiano Davide, vocalist pluristrumentista e compositore principale, Valerio Menicocci alle chitarre, Pierpaolo Provengano al basso, Enrico Catanzariti alla batteria, con The Debut of Lady June hanno confezionato un primo album davvero notevole: ammiccando ai Wallflowers, ma ispirati, secondo quanto loro stesso riconoscono, dai grandi classici degli anni ’60 e ’70 (Beatles, Rolling Stones, Dylan padre, Waits, Young e altri), costruiscono una musica che ha appunto il sapore dei classici di altri tempi ma sa essere contemporaneamente fresca e genuina.
E’ affidato a Dreams l’intro ritmato e convincente dell’album, mentre Brown Haired Girl è una dolce melodia romantica, e poi arriva Midnight’s Talker, uno dei pezzi migliori, dove la voce trova il suo colore più convincente, e la poesia delle liriche si sposa bene con la dolcezza suadente della melodia ben sorretta nel ritmo dalla batteria.
Anche I’ll Disappear offre gli stessi gustosi ingredienti, come pure la stoniana Little Fun, mentre Kathy and Me è una ballata di solo pianoforte che ricorda l’Elton John più intimista.
Già fino a qui l’album, considerando la provenienza dei musicisti e la loro inesperienza, sarebbe una perla: ma ha ancora da offrire I Haven’t Lost my Hope Yet, in cui non sapresti dire se sono più belli i testi o la struttura musicale che li accompagna, la veloce Strange Times, la poetica Shine in the Wind, e la lunga, melanconica Roads, che sembra uscire da uno degli album storici dei Dire Straits.
I Quattro ragazzi di Quarto, sapientemente prodotti da Daniele Landi, mostrano un talento veramente straordinario, fervido, tale da poter garantire ancora grandi colpi: e c’è da dire che in fase live (il tour è appena agli inizi, ma li si è potuti gustare al Duel Beat di Napoli il 24 gennaio) le loro canzoni acquistano ancora più colore, freschezza e ricchezza, superando magari qualche incertezza fonica in fase di incisione che (soprattutto verso lo strumento voce) ancora si sente nel prodotto da studio. E questo è un fatto assolutamente degno di nota, che normalmente contraddistingue i veri talenti dai prodotti passeggeri.
La loro musica certo non è originale, e non è altro che rivisitazione di classici: ma, ciò che è molto raro di questi tempi, le loro canzoni hanno spessore, solidità, compiutezza, maturità. Il che, per una band di poco più che ventenni, è veramente stupefacente.
Ora tocca al pubblico italiano, solitamente distratto sulla musica di qualità, cercare di non sprecare questa sorprendente risorsa piovuta dal cielo.
Autore: Francesco Postiglione