Ahimè erano circa una ventina d’anni fa che mi imbattei per la prima volta nei Bomb The Bass. Nel 1987, le mie velleità di Dj, mi portarono ad incrociare questo vinile con uno strano logo giallo, a forma di faccina stilizzata sulla copertina (poi noto come smile). Il mix era quello di “Beat Dis”, uno dei capisaldi dell’epoca acid house. Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti… Tim Simenon, l’uomo che si cela dietro la sigla B.T.B., ha continuato a concepire e produrre musica da solo e per altri (a titolo vario, ha collaborato con Neneh Cherry, Seal, Depeche Mode, David Bowie, Curve, Björk, Massive Attack, On-U Sound, Hector Zazou ecc.). Preso dalla sindrome “Chinese Democracy” (il rimandatissimo nuovo album dei Guns & Roses che, a quanto pare, vedrà presto la luce) il buon Tim ha impiegato quasi decennio per portare a termine l’operazione “Future Chaos”. A detta di Simenon, la prolungata gestazione del disco è stata dovuta alla sua voglia di rimettersi in gioco stilisticamente come compositore. Pare logico, quindi, domandarsi: ma ne è valsa la pena aspettare tutto questo tempo? Io propenderei per un deciso sì. Proporre del materiale inedito, giusto per soddisfare il proprio ego o quello dei fans, al giorno d’oggi, vista l’inusitata quantità di cd inutili immessa sul mercato, sarebbe stato un autentico suicidio artistico. Coadiuvato in sede produttiva da Paul Conboy (già membro degli A.P.E. e del progetto Corker Conboy) Simenon ha creato nove basi electro-minimali dai suoni molto caldi ed avvolgenti, grazie al sapiente uso di strumentazione vintage, in cui il Minimoog fa la parte del leone. Ogni traccia è stata poi completata con l’aiuto di diversi vocalist. Cinque brani, quelli invero più “contemplativi” vedono lo stesso Conboy in veste di lead singer. Il tono mellifluo della sue interpretazioni però non esalta, eccetto in episodi come l’iniziale “Smog” o nel mid tempo di “So Special”. Il paragone non regge granchè bene rispetto alle vere perle di questo disco. Il tocco magico di Fujiya & Miyagi, tanto per dirne una, conferisce a “Butter Fingers” un andamento quasi krautrock che ammalia. Né il claustrofobico hip hop di “Burn The Bunker” è da meno, grazie al featuring di Toob. Di pari passo, la trasognante “Black River” vien interpretata magistralmente da Mark Lanegan. A chiudere in bellezza, in tutti i sensi, ci pensa Jon Spencer, la cui “Fuzzbox” dark e ritmata è un perfetto inno al caos del futuro. Un poker d’assi che, da solo, vale il prezzo del biglietto.
Autore: LucaMauro Assante