L’inizio del disco è intrigante: “Jacqueline“, con la calda voce di Theodora Von Kees a fare da protagonista, ricorda il soul bianco, dolente e sensuale della Fiona Apple degli esordi o l’eleganza di Joan As A Police Woman, se preferite. Ma è un episodio fuorviante: i francesi Electric Mop preferiscono esprimersi con brani strumentali, sfoggiando la loro nutrita collezione di synth e tastiere vintage (hammond, farfisa, piano wurlitzer, moog etc.) in un frullato di electro-pop di stampo 80’s (“Pandora”), atmosfere retrò che richiamano alla mente certe soluzioni proto-elettroniche dal sapore sixties, psichedelia addomesticata (“Bianca“, in cui però sembrano una copia sbiadita degli Air) ed easy listening (“Rumba one”).
A volte la qualità delle composizioni è a dir poco scoraggiante: “Dear Uncle Huguette” non è altro che un cazzeggio, una di quelle cose senza testa né code che possono nascere in sala prove cercando di trovare qualche spunto per un pezzo. Come gli sia venuto in mente di metterlo come secondo brano del disco, è un mistero. Nell’inconcludente “Mike” l’unica cosa che stuzzica la mia attenzione sono i campionamenti di voci italiane (toscane, per la precisione) in fondo a brano (del resto nei credits si scorge un nome italiano, tra i musicisti coinvolti nel progetto).
Altre volte si fanno ascoltare con più piacere, ma il retrofuturismo di “Rock One” sembra citare Stereolab e Trans Am, senza purtroppo avvicinarsi alla grazia dei primi e la profondità dei secondi.
La voce di Theodora si fa sentire in altri due episodi, quanto mai fuori-contesto: nella docile ballad pianistica “Boys part.2” e nella dolcissima “John et Charlotte” (il miglior brano tra gli undici presenti), dov’è valorizzata da un sound analogico morbido e avvolgente.
Uno dei dischi più inutili che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi.
Autore: Daniele Lama