Pensavo si trattasse dell’ennesimo hype nazional-popolare, pompato da una stampa facilona in attesa soltanto di scoprire/inventare il nuovo cantore dei malesseri italici. E invece. Vasco Brondi aka Le luci della centrale elettrica, ventiquattro anni da Ferrara, ti inchioda le orecchie con un cantato istintivo e rabbioso, che suona ruvidamente punk anche se “i CCCP non ci sono più”, e con una lingua figurativamente violenta e liricamente crudele, capace di raccontare storie di ideali bruciati, di periferie impigrite e di esistenze svuotate evitando la banale retorica degli ideali bruciati, delle periferie impigrite e delle esistenze svuotate (“…passeresti ancora ore a pettinarmi le vene parlandomi d’amore e di metadone…”; “lavarsi i denti con le antenne della televisione durante la pubblicità…”; “…attenti ai gatti con l’aids ai passanti che gettano i cervelli dal cavalcavia sui nostri pomeriggi troppo lunghi e troppo azzurri…”; “…andiamo a dare fuoco ai tramonti e alle macchine parcheggiate male ad assaltare ancora i cieli a farci sconfiggere e finire sui telegiornali foto in bianco e nero delle nostre facce stravolte sui quotidiani locali andiamo a vedere i cantieri delle case popolari dai finestrini dei treni ad alta velocità…”).
Giorgio Canali aggiunge arrangiamenti “e divagazioni” agli accordi di chitarra di Vasco; i pennelli di Gipi colorano la copertina; “In ricordo di Gilberto Centi, Andrea Pazienza, Pier Vittorio Tondelli” è la dedica recitata dal booklet.
Ed ero così convinto che si trattasse dell’ennesima montatura giornalistica, che avevo ignorato di proposito lo spazio dedicato da Blow Up al fenomeno del momento Le luci della centrale elettrica (persino copertina del numero di maggio), ma dopo l’ascolto di “Canzoni da spiaggia deturpata” sono andato di corsa a recuperare quell’intervista e i miei pregiudizi sono stati ulteriormente e piacevolmente demoliti, perché la sensazione netta è che Vasco Brondi abbia realmente qualcosa da dire e le sue non siano mere pose da intellettualoide con un microfono in mano. Perché la sensazione netta è che l’amara poetica di Vasco Brondi sia grido profondamente intimo e non urlo presuntuoso di un presuntuoso capo-popolo.
Forse Rino Gaetano ha trovato il suo degno erede nell’era del post-11 settembre. Meno ironia e più disillusione, certo. “…cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi anni zero delle nostre giornate che sono state ristrutturate di tutti gli altri libertini che sono stati biodegradati di quando sono arrivati gli artificieri e ci hanno disinnescati e si fermavano i tram per deridermi…”
Autore: Guido Gambacorta