Terzo lavoro discografico solista del cantautore milanese, dopo ‘Piume’ del 2000 e ‘Cose che Cambiano Tutto’ del 2004, e pare ormai un simpatico rituale, il suo, di recarsi in Sicilia, a Catania, per trarre ispirazioni ed iniziare ad incidere la prima parte del lavoro. Scaramanzia?… chissà! Questa volta, però, c’è una novità, perchè il lavoro è trainato da un singolo che prende, intitolato ‘Tutte le Distanze’, dalle buone potenzialità promozionali e radiofoniche, che potrebbe spalancare al cantante pianista un più largo successo, anche di pubblico e non solo di critica. Ben capace di slanci musicali romantici, in senso letterario – nel booklet del CD cita Rimbaud – Mancino procede spesso per immagini, nelle sue canzoni, con testi rivolti direttamente al suo amore – l’utilizzo della seconda persona singolare, del tu, ricorre in tutte le tracce, e conferisce al lavoro un carattere tutto sommato intimo, epistolare, su cui l’ascoltatore quasi sbircia come un intruso, malgrado poi ci siano le musiche, in cui il pianoforte di Mancino ha un ruolo centrale, con partiture ariose, semplici, quasi sempre ricche di pathos – ‘Le Cose Inutili’ – talvolta scandite, talvolta profondamente ritmate e rock, grazie anche ai suoni bassi di Filippo Sabatini e di Roberto Dell’Era, che Mancino vuole ben evidenziate. Gran parte delle 12 canzoni del disco ha un carattere pop psichedelico, con suoni ripiegati, e ciò permette a ‘L’Evidenza’ di fare un deciso balzo di qualità, grazie soprattutto all’organo hammond suonato dal bravo Sandro Mussida, determinante nel dare colore e spessore al lavoro del cantautore di Milano, il quale si ritrova una voce notevole, sullo stile di Manuel Agnelli, Moltheni, Gino Paoli, malgrado, forse, proprio la voce nell’incisione sia troppo esposta in tutte le canzoni, sempre in primo piano, secondo una strategia tipica della musica pop italiana che evidentemente deve pagare e funziona, ma talvolta – ma non è il caso di Diego Mancino – è discutibile. La bibliografia musicale cui Mancino attinge, ad ogni modo, è soprattutto negli anni 60-70 italiani, e Luigi Tenco e Gino Paoli sono suoi potenti punti di riferimento – con una serie di citazioni disseminate a piene mani che giungono sino a De Andrè, e che potrete divertirvi a scovare voi stessi – attualizzati però al 2008 attraverso un discreto lavoro di arrangiamento che prevede anche il ricorso al synth – ben diluito nel suono, spesso impercettibile – in cui non manca neanche, in 2 tracce, un quartetto d’archi. C’è un fenomeno avvincente in questi tempi, in Italia, di cantautori moderni che cantano nella nostra lingua, di cui evidentemente non si parla abbastanza, cantautori “mutanti” che curano molto i testi ma scelgono anche di ricorrere alla formazione rock, e ricercano trame psichedeliche pop e jazz; assieme a Lele Battista, Moltheni, Cesare Basile, Cristina Donà, Marco Parente, Paolo Benvegnù e Paolo Cattaneo, c’è pure Diego Mancino.
Autore: Fausto Turi