E’ in effetti un buon momento, per un certo tipo di hard rock pesante: proprio quando ci eravamo stufati un po’ tutti, diciamolo, di certe produzioni stoner troppo spesso registrate con lo stampino, in economia, ecco una schiarita: una boccata d’ossigeno all’insegna degli stessi suoni rocciosi, ma carichi d’euforia, con la riscoperta della tradizione hard boogie anni 70 sparata e ad alto voltaggio. Che poi, a dirla tutta, è la via indicata – all’inizio tra qualche perplessità – dagli ex componenti dei Kyuss, che dopo aver creato lo stoner moderno, nei 90, l’hanno affossato coi loro nuovi progetti: Hermano, Queens of the Stone Age, Mondo Generator. Due notizie biografiche su Year Long Disaster sono doverose: Daniel Davies, leader di questo trio californiano all’esordio, è figlio di Dave Davies, chitarrista dei britannici Kinks; Rich Mullins, il bassista, è stato uno dei fondatori della stoner band strumentale Karma to Burn; il batterista Brad Hargreaves, invece, era un perfetto sconosciuto, finchè i due compagni non lo hanno visto pestare lo strumento, una sera, in un baretto di Los Angeles. Il gruppo non sa neanche cosa sia, la psichedelia dilatata, e piuttosto usa le chitarre come fossero clave, ripercorrendo le galoppate blues di AC/DC e Motorhead, tra ritmiche sfrenate ed assoli fulminanti, nel segno di un’orgogliosa tradizione southern che non deluderà mai, e nella quale ci si può sempre rifugiare, sicuri di trovare approdo e riparo dalla piattezza che talvolta la musica moderna ci riserva. Musica conservatrice, dunque, l’hard rock? Beh, paradossalmente, questa musica rocciosa e quadrata che a suo tempo, nei 70, fu di rottura totale con ogni conformismo – la musica che faceva inorridire benpensanti e “matusa” – oggi, nel 2008, non può certo riservare strabilianti sorprese, se non a livello emozionale – e ti pare poco, direte voi! – ma parlerei piuttosto di musica fuori dal tempo. Gli YLD sono perfetti, gasanti al massimo, sinceri, e questo disco immagino sarà tra i migliori del 2008 come l’anno scorso lo fu quello dei texani Down e due anni fa quello degli australiani Wolfmother, che ricorda davvero molto. Conservatrici le 11 canzoni spaccatimpani del trio? Macchè, certa musica non morirà mai! E da quando i Quotsa cominciano a mostrare un calo creativo rispetto agli esordi, benvenuto a questo nuovo gruppo. La voce di Daniel Davies ricorda quella di Chris Cornell (Soundgarden, Audioslave) in un modo impressionante: stessa forza e profondità, stessa estensione, ‘Leda Atomica’ è un singolo che farà parla a lungo di sé, infine, la copertina dell’album: cazzutissima.
Autore: Fausto Turi