E’ un buon periodo, per un certo tipo di post punk, in Italia. L’esordio su Midfinger dei Drink to me di Ivrea, dopo qualche Ep con quei pazzi dello Stuprobrucio rec., è buono, e grazie all’eterogeneità di idee riesce a spiazzarci, e questa cosa fa piacere, perché c’è bisogno di dischi che richiedano da parte di chi ascolta un impegno, un ascolto per così dire attivo. Disco da seguire ad alto volume, ad ogni modo, gustandone a pelle i fischi del feedback, i cazzotti robusti del basso elettrico, l’urlo spesso filtrato. Immaginate un’operazione di modernizzazione dei lavori anni 80 di NoMeansNo, Sonic Youth e Talking Heads, ma anche una montagna di riferimenti pop e psichedelici – leggo in internet che qualcuno li avvicina a Flaming Lips, Giardini di Mirò, Liars: e mi accodo anch’io… – proposti avvalendosi di synth e chitarre elettriche, col gusto della sintesi, però, senza troppa prolissità: punk e psichedelia sono due cose un tempo contrapposte, ma in Italia, da diversi anni c’è un fiorire continuo di valide band che realizzano la sintesi impossibile di questi due generi. Nel nome di suoni acidi e ritmi che mutano dal frenetico allo stato di calma apparente troviamo i compagni d’etichetta Hollowblue, che hanno da poco pubblicato i loro nuovi blues deviati, o i Three in One Gentleman Suit, anch’essi in giro con un nuovo lavoro in questi mesi, ancora The Death of Anna Karina, o i Disco Drive, e gli Appaloosa. Ma i Drink to me si differenziano, da queste altre band, per un più spiccato gusto pop, però in senso nuovo, perché il loro dono della sintesi all’interno della singola canzone, non li porta verso le soluzioni più semplici, praticamente mai; per questo motivo scrivevo, più su, della necessità di un ascolto attivo del disco, ad alto volume, per poterlo davvero apprezzare.
Dicendola in un altro modo: pensate a come intendono il pop i Depeche Mode o i Talking Heads: su di un piano creativo superiore, complicandosi la vita, se non altro con la scelta di suoni ansiogeni. Tra i 13 pezzi di ‘Don’t Panic, go Organic!’ spiccano ‘Frozen George’, molto britannica, ‘Put your Head in the Sky’, e ‘Camposanto’. Senz’altro i quattro – Marco Bianchi, Francesco Serasso, Pierre Chindemi, Carlo Casalegno – dovranno mettere a fuoco alcune idee scartandone altre, in futuro, sfrondando il loro lavoro creativo ed i loro gusti musicali, ma c’è da aspettarsi altre buone cose, dai Drink to me, in futuro.
Autore: Fausto Turi