Le atmosfere di “Black Cat”, il brano d’apertura, lasciano intuire il mood generale del disco: ritmica cadenzata, quasi marziale, gelidamente new wave. Il cantato in bulgaro – la lingua madre di Mira, una delle due cantanti – dona al pezzo un alone di mistero, che avvolge anche il pezzo successivo (primo singolo estratto dall’album), non a caso intitolato “Ghosts”. “There’s a ghost in me who wants to say I’m sorry. Doesn’t mean I’m sorry”, ripete ossessivamente la voce (quella di Helen, questa volta), su una base electro-rock compatta e aspra. I suoni del disco sono spesso crudi, graffianti, aggressivi. Non a caso tra i produttori è stato scelto anche Alessandro Cortini (il musicista italiano attualmente alle tastiere con i Nine Inch Nails). “I’m not scared” ricorda a tratti proprio i NIN, se non fosse per le melodie vocali eteree e malinconiche. Le voci di Helen e Mira si accarezzano e si avvolgono tra synth e valange di effetti in “Season of illusion”, mentre “Predict the day” sfodera un insospettabile quanto piacevole groove smaccatamente r’n’b, che sembra più il frutto della mente di Timbaland che di quella di un gruppo troppo frettolosamente “costretto” nel filone del revival 80’s. “Lovers”, scura e misteriosa, galoppa su di una batteria che potrebbe essere quella di un pezzo dei Wire. Canzoni come “Runaway”,“Burning up”, “Deep Blu” e “Kletva”, suonano invece ripetitive e poco consistenti, svuotando di tensione e d’impatto un disco che a questo punto possiamo considerare elettrizzante solo a metà. Purtroppo.
Autore: Daniele Lama