La strada per Rouen sembra completamente abbandonata. Si abbandona il nord francese e tutto quello che questo portava con sé, per riattraversare la Manica e ritornare tra le braccia più sicure d’Albione.
Se Road to Rouen (firmato 2005) era stato considerato, se non proprio l’album della consacrazione, almeno quello della maturità musicale, questo ritorno al passato deve farci riflettere.
Partendo dal fatto che i Supergrass erano sempre riusciti, grazie a trovate geniali, video improbabili e a una forte caratterizzazione musicale, a ritagliarsi uno spazio tutto loro in quel mare magnum che è stato il brit pop dalla metà degli anni 90 a oggi, c’è da domandarsi perché abbiano deciso di abbandonare ciò che avevano seminato con Road to Rouen per riappropriarsi delle sonorità che li avevano caratterizzato precedentemente.
Del fatto che di Gaz Coombes ti puoi fidare, non c’è dubbio; è come uno di quegli amici che sai che non tradisce; a volte può farti incazzare, perché fa cose che non t’aspetti e che ti spiazzano, ma poi gli perdoni tutto.
Dopo la sorpresa di Road to Rouen, dicevamo, album di passaggio, molto diverso dal precedente e dai precedenti, più introspettivo, meno caciarone, seppur con il bel divertissement strumentale di Coffee in the pot, forse più nostalgico, a partire dalla copertina (mica come quella di Life on other planets), ci ritroviamo davanti, dopo 3 anni, questo Diamond hoo ha.
Come avrete ormai capito le distanze tra i due album sono abbastanza marcate. Con quest’ultimo i Supergrass ritornano al loro formato originale, congeniale a chi li ha amati fino al 2002 ed era rimasto spiazzato da Road. Diamond hoo ha è sicuramente più caciarone, diciamo che sembra che vada un po’ più appresso alle mode del momento, a quell’indie rock che ci attornia da qualche tempo.
Ma ridurlo a questo sarebbe fargli un torto. L’album suona bene, suona molto british, suona molto Supergrass, certo!, e questo secondo noi, che siamo cresciuti a pane e Alright (la canzone che li ha fatti conoscere al grande pubblico) è un bene.
La title track, che apre l’album, è una di quelle canzoni che ti rimane in testa, molto rock & roll, senza fronzoli, mentre Bad Blood, se girate i canali musicali sul satellite, l’avrete sicuramente ascoltata, dato che è il singolo che sta girando di questi tempi. Anche questa suona molto Supergrass. Rebel in you, come le altre, si avvale di arrangiamenti semplici ma efficaci, molto brit. When I needed you sembra uscita dal loro album omonimo, ma non entusiasma, mentre ci si rifà con 345. The return of inspiration sembra suonata dagli Strokes, che, a dire la verità, dei Supergrass potrebbero essere figli. Whiskey And Green Tea è sicuramente uno dei migliori pezzi dell’album.
Insomma l’album suona bene, non ci sono sbavature, ma il mezzo voto in meno se lo beccano per il poco coraggio, secondo noi; retromarcia, rispetto al precedente, che ci lascia un po’ l’amaro in bocca.
Consiglio personale, se non li avete mai sentiti procuratevi anche i precedenti, sono uno di quei gruppi che vale la pena ascoltare e, soprattutto, capirete un po’ di cose su tutto ciò che ultimamente arriva dall’Inghilterra.
Scanzonati anche in età avanzata? Bene così, in fondo come direbbero loro stessi “We are young, we run green keep our teeth nice and clean (…) Feel alright!”.
Autore: Francesco Raiola