E ti pareva che, nell’eterna sfida tra le band hard rock britanniche e quelle americane, non sarebbe spuntato anche lì, un giorno, un quintetto canadese con le carte in regola per metter in riga tutti? Il secondo disco dei Black Mountain sta facendo parlare molto di sé, in questo inizio di 2008, con 10 canzoni che, partendo dall’heavy metal primitivo, nascituro, dei medi 70, riesce, con trovate di grande profondità e spessore artistico ed emotivo, a spaziare dal folk rock al doom, alla psichedelia, con un approccio “totale” che apparteneva ai musicisti di quell’epoca musicale artistica che appunto furono i medi 70. Gli Hawkwind, ed i Black Sabbath “evoluti” di ‘Sacrifice’ (1975), mi sembrano solidi punti di partenza, per provare ad immaginarsi la musica di questa band che, su un suono roccioso e ribassato di chitarra elettrica e basso, costruiscono straordinarie fantasie al mellotron, all’organo ed al synth, con in più il drumming molto violento di Joshua Wells, batterista davvero bravo: ascoltatelo in ‘Tyrants’. Le tante, di volta in volta inquietanti o bucoliche aperture acustiche, supportate dal suono inquinante del mellotron, che sembra l’eco potente del vento che s’avvicina, crea poi all’improvviso paesaggi irreali, come ad esempio quello rappresentato sulla copertina del CD, e questo effetto psichedelico mi ricorda i Pink Floyd di ‘Echoes/Careful with that Axe, Eugene’, nelle versioni sulfuree del ‘Live at Pompeii’, lavoro memorabile di cui questo ‘In the Future’ rappresenta un contraltare del 2007; ed un contributo importante, nel creare questo efficace affresco marziano, lo danno le voci dei due cantanti: quella filtrata ed in secondo piano del leader, chitarrista Stephen McBean, nonché quella straniante e glissata della brava Amber Webber, promettente sacerdotessa rock. I titoli delle canzoni poi, contribuiscono più di ogni altra cosa a raccontare simbolicamente la musica dei BM: ‘Wild Wind’ e ‘Stormy High’ per esempio, danno davvero l’idea già dal titolo della forza della Natura e di uno spostamento d’aria tremendo, cui è difficile resistere con occhi aperti e schiena diritta. Elementi di modernità, nella loro musica? Beh, no, non proprio, persi come sono questi suoni tra echi blues – ‘Evil Way’ – di zeppeliniana memoria, e non ci resta ora che correre a procurarci anche il loro precedente lavoro omonimo, d’esordio, pubblicato nel 2005, del quale pure si parla molto bene.
Autore: Fausto Turi