A 52 anni si può ancora cambiare vita se si hanno le energie giuste. Steve Earle è uno di questi, dato che ha deciso di lasciare la sua Nashiville per andare a New York. L’album, infatti, si apre con l’onirica ballata blues “Tennessee blues”, nella quale dà l’addio alla sua guitar town. Una vita assolutamente vissuta nel senso più pieno del termine, caratterizzata da entrate ed uscite nel tunnel della droga, dal carcere, da molti matrimoni, sette per l’esattezza, tre figli e dall’attivismo politico, dato che è un socialista, che gli è costato l’accusa di essere paragonato ai talebani. Ovviamente su tutto a noi interessa la sua onesta, intensa ed ottima carriera musicale, che comunque ha inevitabilmente risentito delle sue vicende personali. Una carriera caratterizzata dalla coerenza, che gli ha sempre dato ottimi frutti, sia in termini di vendite, che di riconoscimenti e quattordici album con pochissimi passi falsi, diversi ottimi album ed altri medi. “Washington squame serenade” si colloca tra i primi, caratterizzato dal consueto country-rock, con tantissime ballate, alcuni blues, tanta malinconia (sentitevi con molta attenzione ‘Come home to me’), testi che riprendono alcune tematiche classiche del country-rock Usa e ovviamente non mancano riferimenti politici, come la proletaria “Oxycontin blues”. Bellissimi gli intarsi della slides che si innestano sul banjo e sul mandolino. Steve Earle, come ha fatto recentemente il suo più illustre collega Springsteen con “American land”, ha voluto omaggiare la vera essenza del suo popolo, composto da immigrati, nell’evocativa “City of immigrants”. “Washngton square serenade” non ha la spinta ribelle di “The revolution starts now”, dato che è più riavvolto su se stesso così Earle si permette di stare più attento ai propri sentimenti.
Autore: Vittorio Lannutti