Messa definitivamente la parola fine alla grande avventura lo-fi rock’n’roll dei Bassholes, il chitarrista e cantante Don Howland non ha – per nostra fortuna – appeso la chitarra al chiodo. Anzi. Si è subito rimesso in moto e ha formato una nuova band assieme al bassista Eamon Martin e al batterista James Owens: il loro nome è Wooden Tit e “Return To Cinder” è il titolo del loro ottimo debut-album. Anche con questa nuova formazione Don Howland si conferma autore ispirato e musicista in grado di rinnovare la grammatica del rock scarnificando le vecchie strutture r’n’r, blues e country. E iniettando una buona dose di rumore e caos controllati. Così l’iniziale “Jack At Night” ha tutto il sapore del classico, con quel tiro sporco alla Stones di fine anni Sessanta: ritmica sostenuta, riff graffianti e una bella armonica a menare le danze. L’atmosfera si fa ancora più oscura e grezza con “Half Off”, mentre “Cowboy & Cowgirl” e la successiva “Got Life (If You Want It)” sono addirittura urticanti. Mentre in “Return To Cinder/Or Was It Just a Dream” il mood si fa più dilatato, quasi ubriaco… Per marcare il legame con la tradizione i Wooden Tit vanno a ripescare un vecchio classico di Blind Willie McTell come “Broke Down Engine”, già cavallo di battaglia dei Bassholes che proprio con quel pezzo aprivano il loro ultimo, omonimo, album. Segue un’altra bella cover, “Street Waves” dei Pere Ubu, rivestita da una fitta coltre psichedelica. E se in “Jukebox Maniac” il terzetto ritorna a graffiare, in “Life Goes On” emerge l’anima lisergica e dilatata del combo americano. Mentre la conclusiva “Spinning” è un po’ Stooges era-“Funhouse” e tanto Bassholes: oscura e visionaria al tempo stesso.
Autore: Roberto Calabrò