I Neurosis non sono persone che vivono l’ansia del mercato, quindi fanno dischi quando hanno qualcosa da dire e tra un cd e l’altro possono passare anche tre anni, come è avvenuto tra quest’ultimo ed il precedente “Eye of the storm”. Questa volta la tempesta i sei di Okland l’hanno trovata al loro interno, andando a scavare nelle profondità della loro anima. A memoria, questo mi sembra il loro cd in assoluto più introspettivo e allo stesso tempo come tutti gli altri estremamente denso. Come sempre in cabina di regia c’è Steve Albini e i brani sono tutti tiratissimi, la media è infatti di sette minuti per brano. Ovviamente con tempi così lunghi sono più probabili i cambi di registro stilistico, anche se, chiaramente, i Neurosis girano sempre attorno ai loro generi, vale a dire grindcore, post-core, metal, questa volta con delle belle incursioni nel grunge di Alice In Chains, vale a dire quello più vicino al metal sia nella percussiva “Water not enough”, sia nella quasi ballata della conclusiva e kilometrica (11’48’’) “Origin”. Questo brano ha il pregio di essere tanto introspettiva, quanto inaspettatamente solare, grazie ad una chitarra dolce, da cui comunque trasuda una vena triste. “Origin”, infatti, è la summa di questa mastodontica opera, nella quale la tensione è sempre dominante e raramente riesce a sfogarsi, come in qualche raro singulto precipitoso e rocambolesco di “Distill (watching the swarm)”, che poi lascia il posto ad una psichedelia degna dei migliori Pink Floyd (quelli di Pompei). Altre tracce di psichedelia si trovano nello space-rock di “To the wind”, preceduto da un crescendo lento e graduale di ritmo. Steve Von Till come sempre canta con tutta la passione che ha in corpo, riuscendo a trasmettere tutte le sue angosce, soprattutto quando si esprime con la voce scartavetrata. Ascoltarli come sempre ha una grande funzione catartica.
Autore: Vittorio Lannutti