Non c’è da aspettarsi una voce melodica alla Dolores O’Riordan o rockettara alla Alanis Morrisette: il primo lavoro cantautorale di questa nuova voce femminile del panorama musicale americano è molto diverso da quello a cui le major ci hanno abituato. Jesy Fortino, proveniente da una città che sa di aver dato fin qui molto alla musica, Seattle, ha messo in piedi il progetto Tiny Vipers praticamente da sola, e del resto l’album riflette questa solitudine compositiva: ispirandosi al folk di Joan Baez (chitarra acustica arpeggiata e voce, e nient’altro), ma contaminandolo con la modernità del modo di cantare dissonante alla Bjork o stile Lamb, per capirci, la Fortino ha creato un album dalle atmosfere oniriche, solitarie, cupe, in cui la voce più che armonizzare o conciliare turba o inquieta, come del resto molti dei testi delle sue canzoni.
Una linea melodica più convenzionale la troviamo forse in The Downward, che più si avvicina alle classiche ballate chitarra e voce, ma la scia principale dell’album è disegnata da una canzone-componimento come Swastika, davvero suggestiva e particolare.
Naturalmente l’ascolto non è per tutti: Jesy Fortino non cerca ritornelli che si facciano imprimere nella memoria, o invenzioni particolarmente ricercate che colpiscano per la loro originalità, ma cerca di penetrare attraverso il silenzio, la pausa, l’atmosfera, unite a una voce che più che cantare declama i testi come fossero poesia simbolica.
La sensazione è che qualcosa, nel progetto di ricerca dell’artista, resti incompiuto in questa sua prima prova, ma la strada per il miglioramento c’è ed è quella di mantenersi fedele all’ispirazione fondamentale che percorre tutto l’album.
Autore: Francesco Postiglione