Da qualche parte, in Inghilterra, si suona ancora del pop emozionale. Quello malinconico, autunnale, che si ascolta quando comincia fare sera e magari si guarda la pioggia da dietro i vetri della propria casa, al caldo. Hampshire, Londra. Qui è rimasto ancora qualcuno che continua ad essere romantico e ispirato. The Clientele. Quelli che al terzo disco, God Save The Clientele, confermano la loro linea tutta passatista e Sixties, vicina al chamber pop e a un impianto sonoro ormai riconoscibilissimo quanto un marchio di fabbrica. “God Save The Clientele” può essere visto tranquillamente come il seguito ideale del precedente “Strange Geometry”: nessun cambiamento nell’approccio e nella proposta di malinconiche pop song. Gioca a fare il Lennon della situazione, Alasdair Maclean. Come nella delicata e struggente “Isn’t Life Strange”, dove in alcuni passaggi ha le stesse inflessioni vocali. Ma questo terzo album firmato The Clientele non paga il tributo ai Beatles perché vive di vita propria e di un sound che è sempre più un tratto riconoscibile: un indie pop sussurrato e fumoso, ricco di sognanti chitarre che spesso si accompagnano al piano (anche elettrico) e alla sezione d’archi. Atmosfere da ninna nanna come in “From Brighton Beach To Santa Monica” e alcuni momenti leggermente più sostenuti come per esempio in “Winter In Victoria Street” o “The Garden At Night”: potrebbe essere questo il problema di un disco sicuramente di pregevolissima fattura e suonato e arrangiato nella più chiara chiave indie pop.
Quattordici tracce potrebbero essere troppe e rendere decisamente soporifero il tutto. Intendiamoci, The Clientele si distinguono sicuramente nel panorama attuale delle produzioni indie inglesi, grazie ad un sound particolare, sofisticato, avvolgente e melodrammatico allo stesso tempo. Però alla lunga il disco, partito bene, rischia di saturare presto l’emotività dell’ascoltatore, come se alla quinta o sesta traccia non ci fosse già più nulla da dire.
Autore: Stefano De Stefano