L’ultima frontiera dell’elettronica: la “intelligent dance music”. Devo essere onesto, questa denominazione l’ho letta più volte e qualcuno addirittura mi potrebbe contestare e dire: – “sei rimasto ancora a questo!” Ehm…sì, perché le uscite discografiche, i generi e i filoni, e non per ultimo le definizioni, sono un po’ come i telefonini o i computer portatili: appena li compri dopo qualche settimana sono subito obsoleti e trovi il tipo che già sta più avanti di te! Roba da matti.
Intanto ne sparo un’altra: “tech-soul!” Wow! Questa non l’ho letta, ma i Voom Voom si autodefiniscono così! E chi si cela dietro il nomignolo Voom Voom? Niente poco di meno che il prode Peter Kruder, orfano di Dorfmeister e stavolta accompagnato da Roland Appel e Christian Prommer, in passato già Truby trio e Fauna Flash.
Questa volta però, del buon Peter possiamo apprezzare l’impegno, ma non lodare il risultato. L’album si estende partendo da un’idea tra electro e house attraverso accenni jazz beats che talvolta si ritrovano nella drum’n bass o nella deep house in acido, buone linee di synth e di basso, spesso però, tradite da una pessima scelta di voci “dance” seriamente imbarazzanti, caso emblematico: “All I need”. Audacia premiata nella decisione di mescolare e gestire in un calderone techno, suoni che spaziano dall’electro al funk, come nel caso della seconda traccia, forse la migliore, “Roger” e qualche spunto sufficientemente interessante qua e là, come ad esempio in “Bounce”. “Peng Peng” comincia a diventare più interessante verso il finale, anche se il trio prende coraggio e consapevolezza nei propri mezzi verso metà disco e precisamente dall’intricata “Keep the drums out”, che a tratti ricorda vagamente i Chemical Brothers. Il sound nel complesso non è male e sotto un certo punto di vista sembra molto coerente date alcune scelte stilistiche, anche se, da parte del trio è eccessivo il tentativo di strafare, cosa che porta l’ascoltatore a protestare o addirittura ad annoiarsi, mentre lo scrivente manifesta la sua irritazione perché “Peng Peng”, con qualche accorgimento e minore ridondanza, poteva essere davvero un buon disco.
Autore: Luigi Ferrara