Se continuano di questo passo, gli iLiKETRAiNS non diventeranno mai un gruppo da disco d’oro, non venderanno milioni di copie, non faranno strappare i capelli alle teenager né invaderanno le case incastonando la loro copertina nero-porpora tra il primo dei Blink182 e l’ultimo di Madonna (e chissà se ne sarebbero poi tanto contenti). E non immaginate quanto tutto ciò possa essere un bene; se questo è il prezzo da pagare per ascoltare questo rock. Sì, perché quello che suona questo gruppo inglese è un rock perfetto che miscela cavalcate sonore, improvvise esplosioni di suoni ad atmosfere rarefatte, sostenute dalla voce di David Martin che si lascia possedere da fantasmi new wave, un po’ Robert Smith, un po’ Morrissey. Ad accompagnare Martin ci sono Guy Bannister (chitarra e tastiere), Alistair Bowis (basso) Ashley Dean (immagini e corno) e Simon Fogal (batteria).
Lungi da quella moda elitaria che vuole che ciò che venda poco sia oro e ciò che vende milioni di copia sia puro letame commerciale (Radiohead docet), continuiamo ad avere dubbi sulla possibilità (e non sulla capacità; ce ne fossero di più di gruppi così) d’espansione del fenomeno iLT, sperando di sbagliarci, e chissà se non sarà così. Fenomeno perché questo mini-album Progress-Reform (Talitres) è stato accolto molto positivamente dalla critica d’oltremanica e se ne sta cominciando a parlare bene anche qui da noi. Senza contare l’accoglienza che comunque aveva avuto il singolo A Rook House For Bobby, basato sulla vita dello scacchista americano Bobby Fisher, che, ci dice la nota stampa, “ha venduto tutte le 500 copie in due giorni”, facendo guadagnare alla band uno zoccolo duro di fedelissimi.
Testi che parlano di personaggi indimenticabili vicini e lontani, storie tristi e disperate.
Perfetto manifesto post rock è la canzone che ci introduce in questi 32 minuti e spicci d’album, Terra Nova in cui sono subito manifeste le intenzioni del gruppo; dove gli iLT vogliono andare a parare. New wave incastonato nella sua prosecuzione logica, il post rock, con testo che si rifà all’esplorazione del Capitano Scott al Circolo Polare Artico del 1912, mentre A Rook House for Bobby, racconta appunto di Bobby Fisher genio degli scacchi che si trova solo americano a fronteggiare i campioni dell’est, in piena guerra fredda, costretto a trasformare ogni partita in una battaglia; “All this talk of war But it’s only a game”. Solitudine che si riflette come un’immagine allo specchio nel ritmo di questa ballad, che cresce nella disperazione cantilenante di “We’ll build this rook house here for Bobby”. Queste le due canzoni che meritano la maggiore attenzione, senza nulla togliere alle altre. “The Accident” ad esempio sembra il riassunto di un racconto à la Carver con in più, però, delle tastiere ad amalgamare il tutto, mentre il tappeto sonoro di Stainless Steel sembra uscito da un album dei Sigur Ros (gruppo che li ha influenzati non poco). Insomma l’appetito è stuzzicato, ora sarebbe curioso vederli qui in Italia vestiti con le divise dei ferrovieri inglesi, a suonare le loro storie di “treni, neve e scacchi”.
Autore: Francesco Raiola