Seconda release solista per Dave Pajo dopo l’omonimo di due anni fa, in cui vediamo come lo spleen nero ed il proverbiale cristallino tocco chitarristico di questo personaggio ben si adattino ad una voce giunta a sorprendente maturazione, che non aveva trovato spazio nei due più gloriosi progetti strumentali di cui il nostro fece parte negli anni 90: Slint, Tortoise.
Nel bel booklet del CD, nascosta, trovo la scritta “I haven’t turned coat, not now, nor never”, ma di quel post rock degli esordi non resta nulla, oggi, molto invece del precedente percorso solista in cui David si mascherava dietro gli pseudonimi Papa M o Aeral M; qui c’è ‘americana’ pop a tutti gli effetti, con pigre venature blues, noir; lavoro elegantissimo grazie anche ad una produzione di alto livello – e molto costosa, immagino… –, desolata ma mai tediosa sia nel cantato sommesso e struggente – su tali registri persino quando poggia su musiche più robuste come ‘We get Along, Mostly’ o ‘Let it be me’, non ne parliamo nel conclusivo lo-fi voce/chitarra stile Bonnie ‘Prince’ Billy ‘I’ve just Restored my will to Live Again’ –, sia in liriche ispirate dal poeta Hafiz evocanti squarci cupi e romantici: l’incontro con il demonio nell’iniziale ‘Who’s that Knocking’, le due storie di assassini seriali ‘Cyclone Eye’ e ‘Wrong Turn’ – ispirata da un film omonimo, e ben accompagnata con chitarra/synth –, e poi un dramma che s’avvicina con flemma in ‘Walk Through the Dark’.
Ma c’è poco da fare, e bisogna che lo si dica chiaro e tondo… le cose migliori del disco sono calligrafici omaggi ad Elliot Smith, sia nella composizione che nelle scelte timbriche e vocali: ‘Prescription Blues’, l’agghiacciante ‘Who’s that Knocking’ in apertura, la pianistica ‘Let it be me’ che sembra uscita dritta filato da un disco come Figure 8… è giusto che non ci si dimentichi quale parte abbia svolto Elliot Smith nella musica pop americana, e che non si pensi che Pajo abbia plagiato Elliot, ma neanche che ne possa prescindere suonando questo genere di musica.
Autore: Fausto Turi