Un laboratorio sonoro aperto. Si sentono forti gli echi delle sfuriate rock degli anni ’70. Sequenze di accordi che solcano il cuore e la mente alla “Smoke on The Water”. Variazioni folli danno sfogo a chitarre elettriche che acquistano timbriche ogni volte diverse. Sembra un disco realizzato attraverso la tecnica del collage. Spiazzante. Non c’è voce. Solo pezzi strumentali, un grande calderone dove tutto si fonde. Da sottolineare “Tire Fesse to Heaven”, dove le cavalcate rock sono punteggiate da suoni che non si sa da dove siano stati cavati fuori. Certi passaggi risuonano quasi come “Scherzi Musicali”, degli esercizi stilistici. Alchimie sonore sorprendenti e affascinanti. Un colpo al cuore quando alla traccia 6 (Bomarzo) sembra partire “Money” dei Pink Floyd. Poi, invece, il brano raggiunge strade diverse. Uno xilofono scandisce a passi irregolari delle traiettorie discordanti fino agli ultimi trenta secondi del brano dove questo si trasforma in una marcia rock niente male. I “Passe Montagne” sembrano aver assimilato e metabolizzato la schizofrenia della vita moderna dispiegandola sul loro pentagramma. Oniriche scale ascendenti e discendenti in “Crocodile Empire” riprodotte chissà attraverso quale diavoleria solleticano piacevolmente l’orecchio dell’ascoltatore. A sorpresa in “Song and Dance” compare una voce. E’ quella di Paul Rodden. La voce di un’anima in pena nell’inferno musicale dei Passe Montagne. In definitiva un gran bazar di suoni improbabili, ma magnetici. Una camera oscura dove i fuori-tempo sono piacevolmente accolti sempre nell’ottica di quella schizofrenia di cui sopra. L’ultima traccia “Lafayette”, dove una tiple colombiana propaga nell’aria un’atmosfera diametralmente opposta a quella dell’intero album, è una degna conclusione che dona di diritto l’etichetta di folli a questi tre musicisti di Nantes. Avvertenze per l’uso: è necessario un completo abbandono. Tenere lontano dalla portata dei bambini.
Autore: Stefano Ferraro