“K” è un’opera in più atti. Anche una sola nota di piano ha la sua consistenza autonoma. Atmosfera piovosa, da metropoli desolati. Un’architettura di suoni stupefacente. Chitarre acustiche, piano, violoni e rumori. La voce resa alla perfezione Un lavoro qualitativamente raffinato tanto che in “To our sounds” si riescono a sentire le labbra del cantante che si staccano sulle labiali. Mozzafiato feedback che durano in eterno. “Lungs” arriva da lontano. Sembra essere stato registrato per caso durante una “prova a perdere”. C’è una semplicità di esecuzione che rende al pezzo la parvenza di essere stato arrangiato a braccio durante la registrazione. Rumori di ogni giorno sono incastonati come pietre preziose nello spartito. “Zlaty2” è un intermezzo di fisarmonica. Il suono dello strumento è bypassato attraverso il mondo magico e nostalgico della band. “Speedboats”… che dire? La farò ascoltare a mio figlio seduto sotto l’albero in occasione del suo primo Natale. Una delicatezza disarmante. Eseguita in punta di piedi. Che hai paura anche di respirare mentre l’ascolti. “To our your steps”: sbandate di note. Una scala ripetuta per tutto il pezzo “subisce” un’alterazione finale che mette in fuorigioco. E’ quasi uno scherzo musicale. “Ladder telescopes”: un finale da segnalare per delle escrescenze elettroniche tra un disegno di suoni completamente acustico. “Forehead and chin”: un girotondo sul tramonto del mondo. Dolce e amaro. “Dunaj” è forse il pezzo che meglio rappresenta la formazione. C’è un suono-rumore di pioggia che fa da tappeto al pezzo all’interno del quale balenano microscopiche deflagrazioni virtuali (stile COMMODORE 64). Un piano lento che procede verso la fine di chissà cosa. Eccellente. “Csad”: è una chiosa ricca si speranza. Uccelli festosi e xilofoni saltellanti. Una risollevazione, un raggio di sole incantevole. Porca miseria…non ci sono altri pezzi?
Autore: Stefano Ferraro