Il secondo disco del gruppo livornese (che magari già conoscerete, se siete stati ad Arezzo Wave per le ultime tre edizioni) reca l’ingresso in formazione di Simone di Maggio al synth, drum machine e campionatori, e con questa decisa sterzata elettronica diventa ormai molto difficile equivocare la musica strumentale degli Appaloosa come stoner: errore che alcuni fecero quando nel 2003 uscì il loro esordio omonimo.
Oggi qualunque fraintendimento mi sembra impossibile: pur suonando ancora noise piuttosto duro e diretto, la componente elettronica del quartetto oramai arrotonda il suono della band permettendo d’esprimere, fra l’altro, una gamma molto varia di timbriche sempre scintillanti e ben scelte; e qua e là ad esempio si scivola in sostenute colorazioni surf e psychobilly con tanto d’organo (‘Brigidino’, ‘Jeff’), sature frenesie dance buone per il nightclubbing (‘Non Posso Stare senza di Te’) o riflessioni trance (la lunga ‘4 Women’, o ‘Metal alle Hawaii’) che mi fanno pensare agli straordinari Heartlings?.
Inquadrando dall’alto la musica degli Appaloosa, diremmo che il loro è un noise che s’inserisce bene nella vivace realtà italiana di genere degli ultimi floridi anni, in cui primeggiano One Dimensional Man, Red Worm’s Farm, Almandino Quite Deluxe, Super Elastic Bubble Plastic e Gea, e la produzione affidata allo specialista Giulio Ragno Favero è già di per sè una garanzia.
E rispetto ai gruppi citati gli Appaloosa hanno anche il valore aggiunto dell’elettronica, ma il limite di non utilizzare il cantato. Ora: se per autentiche macchine da guerra supercompresse e dalla trama jazz come gli Zu la cosa non rappresenti un limite e non generi rimpianti, mi sembra che nel caso degli Appaloosa sia arduo talvolta esprimere appieno la loro palese vocazione funk dal retaggio ‘black’ (‘Ap(p)ache’) tipo Prince o Jamiroquai – ditemi voi: che senso avrebbe un disco strumentale di costoro? – o ‘white’ tipo Primus (‘Are you Mons? No I’m Jurgen’, ‘Abort & Retry’).
Lavoro ben a fuoco, certo, ma autolimitato da quel microfono che tace.
Autore: Fausto Turi