Il cortocircuito è alla prima canzone, “Before The Fall”. Attacco tipicamente rock’n’roll che stride decisamente con il titolo provocatorio che gli Hellacopters hanno voluto dare al loro sesto album: “Rock’n’Roll Is Dead”. Un paradosso voluto, se si pensa che proprio la formazione di Stoccolma ha tenuto alto il vessillo del miglior sound chitarristico negli ultimi due lustri. Certo, gli Hellacopters sono molto cambiati nel corso degli anni e questa nuova prova lo conferma ad ogni passaggio. Lasciati in un cantuccio gli ardori punk delle prime prove (“Supershitty To The Max” e “Payin’ The Dues”), Nick Royale e soci hanno sposato un suono assai più corposo e ‘classico’ in cui la capacità di scrittura e il gusto negli arrangiamenti hanno preso il posto della veemenza e della velocità di esecuzione degli esordi. Da questo punto di vista, “High Visibility” (2000) ha rappresentato il vertice della parabola artistica del gruppo. Con “Rock’n’Roll Is Dead” gli Hellacopters proseguono il cammino intrapreso con quell’episodio, dimostrando di avere raggiunto la piena maturità artistica. Infatti, pur non consegnandoci un disco-killer (come furono, appunto, “High Visibility” oppure gli split con Gluecifer e Flaming Sideburns), i sovrani del rock scandinavo dimostrano di essere ancora in grado di assemblare un pugno di belle canzoni. Il limite principale di “Rock’n’Roll Is Dead” è di non contenere canzoni memorabili, di quelle che ti rimangono appiccicate addosso al primo ascolto, vedi “Toys & Flavors” o “By The Grace Of God” nei due dischi precedenti. Però, preso nel suo complesso, il disco supera la prova degli ascolti ripetuti, in virtù di una capacità di scrittura che rimane ben sopra la media e di un sound rock’n’roll, al contempo robusto e rotondo, che pone gli Hellacopters sulla scia dei grandi classici del rock: le influenze soul del progetto collaterale The Solution si fanno evidenti in un pezzo come “Leave It Alone” arricchito dall’organo e dei cori femminili, mentre il versante più aggressivo della band viene fuori da episodi come l’open-track o dal singolo “Everything’s on TV”. Il resto, dicevamo, sono una manciata di belle canzoni (“Bring It On Home”, “I’m In The Band”, “Time Got No Time To wait For Me”) che si lasciano ascoltare con piacere.
Autore: Roberto Calabrò