Ci sono nomi che sono dichiarazioni di poetica. Nomi che rimandano a un’immagine ben precisa. Midwest è uno di questi. Se vi chiedessi che tipo di musica suona un gruppo chiamato così (e ovviamente non lo conosceste), nove su dieci saprebbero darmi la risposta. Folk, country? E avreste indovinato. C’è solo una cosa che forse trarrebbe in inganno. Midwest è America, quella più rustica, delle praterie, dei vecchi seduti fuori al bar con il whiskey in mano a dondolarsi al sole. Il Midwest di cui parliamo noi, però, è principalmente Italia, Varese per la precisione. È da qui, infatti, che nasce questo progetto (Francesco Ferretti, Matteo Gambacorta, Paolo Grassi, Francesco Scalise) che arriva ora al secondo album “Whatever you bring we sing”, e ci arriva nella posizione (scomoda) di chi deve confermare un successo. Il loro debut album “Town and country”, infatti, è stato un successo non solo all’interno dello stivale, e copiosi complimenti sono piovuti su questa band. “Whatever you bring we sing” riesce, però, a essere degno proseguio del progetto cominciato nel 2002. E così in queste dieci canzoni si ritrovano ottimi arrangiamenti, maturità compositiva, e canzoni che scendono giù che è un piacere. Da Bob Dylan ai Turin Brakes, passando, come ammettono gli stessi Midwest, per i Beach Boys (“Lumpy see divers), ma a tratti anche il primo Beck (“”), o i riferimenti dichiarati Townes Van Zandt, Nitty Gritty dirt band e dixieland, tra gli altri. Chitarra, violino e violoncello in “Release the catch”, banjo, tuba, mandolino trombone nell’allegra “Odd Fair”, o il country pop di “We’re with the madcap” e “When the motor dies”, fino al finale melanconico di “Warmed by the coming season”. Un oasi di buon America anche qui!
Autore: Francesco Raiola