Qualcuno riuscirebbe a resistere davanti a questa copertina? Forse sì, qualcuno poco dotato di scarso senso del surreale, o che ha bisogno di avanguardia grafica per intravedere la caratteristica dell’”impatto” in una cover art. E sia, ma lasciate che mi tenga questa copertina così profondamente – e intensamente – “spaghetti-retro”, roba da sfilza di pose per il più classico degli album di famiglia (di una volta, ribadisco). Forse non vuol dire nulla e forse è anche un valido biglietto da vcisita. Di sicuro questi 4 bolognesi hanno fatto centro sulla mia curiosità, oltre che sulla mia maniacalità nel cercare nessi tra qualunque cosa riguardi una band (nome, titolo dell’album, copertina – e ovviamente sound).
Difficili da spiegare – o da etichettare, se preferite – questi Eveline. Me la sono cercata, ok, ma scoprire un disco è anche una sfida a tutto il sistema di “partizioni stilistici” che giocoforza ci si va costruendo negli anni. Si va per singoli brani, quindi, magari alla fine veniamo a capo di qualcosa. ‘P.L.D’, brano d’apertura, è un dimesso, quasi frettoloso e casuale, pigiar tasti su un piano, mentre una voce di donna, di altrettanta poca voglia, svocalizza. ‘Jefferson Peace Yeppi Ya Ye!!!’ invece è un’immersione in acque elettroniche, placidamente minimali ma intorbidite di glitch, interferenze e un carillon che si alterna a un umorale mugolar di voce. ‘Gilda’ è un’altra brusca sterzata stilistica, stavolta in direzione di una vera e propria zingarata jazz-pop – in cui pare di ritrovare l’ironia goliardicamente sottile dei Nando Meet Corrosion (Dio continui a benedirli).
E’ ancora buoi pesto in quanto a “definizioni”. All’orizzonte si staglia però un post-rock condotto con cortese discrezione e tiepida malinconia, tanto – si è capito – non c’è alcun intento di scaldare gli animi. ‘Bin Laden and the Romantic Voice of the Ocean’, in questo senso, funziona perfettamente, malgrado il contrasto con un titolo del genere. Forse un giorno ce lo spiegheranno, insieme ad altre cose, ma nel frattempo, chiamali fessi come musicisti!
Si va avanti. ‘Mr. Wyatt in Love’, non c’è nulla da spiegare perché, per una volta, il titolo porta dritti alla giusta strada. ’11 Years with Jennifer Hartmann’ ci fa riabbassare quel volume che avevamo alzato per cercare di carpir meglio i suoni. Qualche scossa non è esclusa, dalle chitarre che iniziano (finalmente?) a picchiare, e poi a sibilare, a un sax che sputa schegge free. ‘Live Wire’, e il resto a seguire (fatta eccezione per le morbide carezze di piano nella chiusura filo-romantica di ‘Lxwaldocwithme&t’) rientra in ranghi post-rock che sono comuni, in fin dei conti, al modo di far musica di altri validi e italici colleghi. Come dire: gli Eveline sono un gruppo di oggi, “moderno”, che di ogni essenza “retro” coglie la gisuta sfumatura, ma per il resto è lì a giocarsela con tutti gli altri, per un posto su queste ed altre pagine come su palchi un minimo credibili. Li aspettiamo.
Autore: Roberto Villani