Accidenti, cosa c’è che non va in questo disco? Apparentemente nulla. Gli ingredienti ci sono tutti e sono gli stessi che avevano determinato il successo del precedente Nuit blanche: beat digitali e chitarre filtrate, sinth analogici dal sapore retrò, cantato scarno e ammiccamenti erotici al limite del porno soft. E allora? Tutto ciò che faceva di brani come Noir désir e Jaloux dei tormentoni irresistibili e trasversali, adatti al dancefloor più fighetto quanto a un party acido, qui diventa stucchevole, ripetitivo e quello che era un delizioso pasticcio di foie gras sa tanto di minestra riscaldata. Piccante e speziata, certo, ma fin troppo facile da digerire.
Non che ci si aspettasse una nuova rivoluzione electroclash, ché sarebbe una contraddizione in termini, essendo il genere un raffinato esercizio di saccheggio del meglio (o del peggio) degli anni ’80, dal kraut al punk, ma da Danny Mommens (ex bassista dei dEUS) e la sua sexy metà Els Pynoo ci aspettavamo qualcosa di più.
Il singolo Hot shot, che apre le danze, lascia ben sperare in una più spiccata attitudine punky, con chitarre e batteria analogica in primo piano e la voce di Els a gemere un invitante “pourquoi pas?” e il successivo La vérité conferma l’impressione di un album pensato anche e soprattutto per la dimensione live, e la cosa non può che farci piacere. Più Talking Heads, insomma, e meno sfilate di Karl Legerfeld. Petite putain ci ricorda che il francese non è la lingua madre della coppia di Gent ma la pronuncia incerta è ancora più adorabile ed eccitante quando Els ripete, Lolita e femme fatale, “oh joli, joli fils, c’est moi qui joue avec toi”. Man mano che si procede nell’ascolto, tuttavia, si comincia ad avere qualche timore che l’album andrà avanti così, zigzagando tra pezzi orecchiabili e ben suonati, mai davvero sopra le righe. Carini, tutto sommato, e nulla più. Sopratutto, mentre si attende invano un’iniezione di anfetamine, o una nuova rivisitazione divertita dei duetti Gainsbourg-Birkin, ci si imbatte in brani come Sabrina e Litanie des seins e ci si abitua all’idea che il massimo della trasgressione sia una catalogazione anatomica dell’apparato mammario (“Petits seins bien plantés ou gros seins oreillers, seins menus abricots, seins Vénus de Milo”), che il kitsch perda la necessaria autoironia e si trasformi in insopportabile cifra stitlistica e il gioco della seduzione si riduca a una provocazione furba e un po’ volgare. Certo, non mancano le note positive, come la sensibilità pop di Liberté, la dance di Chauve-souris con tanto di piano impazzito in coda, ma l’impressione finale è che non ci sia nulla di veramente spiazzante nel rock’n roll di Tu connais la dernière, nei vari tentativi techno-house (Non stop- vive fossett, Machine sublime), nel romanticismo fuori luogo di Miracle. Né basta sciorinare una sfilza di mostri sacri del cinema e della musica (Claude François) per evocare un french touch decisamente fuori portata (per forza, sono belgi!). I Vive la fete(!) perdono il punto esclamativo e non solo, e la minore immediatezza di Grand prix rispetto a Nuit blanche non è certo riscattata da una maggiore qualità. Forse il problema è che si sono accorti di essere “cool” e hanno cominciato a prendersi un po’ troppo sul serio ed è un vero peccato, per loro e per noi.
Autore: Rino Cammino