Poche parole per liquidare questo vero e proprio “aborto” sonoro. C’è già troppo di cui parlare e Uochi Toki, oltretutto, già ne spende tantissime. Chi siano non si sa di preciso. Un disco alle spalle, e sono in 3. La loro identità è tutta nella loro attitudine da estremisti “off” e nei testi incompromissori, cinici e taglienti verso tutto il marcio, vero o presunto, che infesta questa società.
All’inizio fa sorridere tutto quel veleno contro i “gelati”, qui eretti a simbolo di una civiltà che si gioca tutto sull’immagine e sulla creazione di modelli esistenziali per il tramite di un semplice prodotto, e di una semplice pubblicità. Viene voglia di rimpiangere i tempi in cui spot del genere vedevano protagonisti i bambini, mentre ora è tutto cambiato, anche uno stecco ricoperto è status-symbol nelle mani di una generazione cui è dato l’illusorio potere di essere decision-maker quanto a macchine, cellulari e ora anche gelati, mentre sulle poltrone del comando siedono ancora gli inquilini di ieri.
Il sound: basi distorte, rumorose più che rumoreggianti, o forse rumore-e-basta (non è neanche il caso di tirare in ballo il concetto di “industrial”), prosecutrici dell’opera snervante degli Antipop Consortium che furono. Estrazione hip hop iconoclasta – e sicuramente ostile a tutti i clichè del genere – ma anche la componente grind-core non manca. Sia qua che là l’incalzante e incessante voce di Napo a sputar veleno, tanto e di gusto, come detto, ben presto troppo, un “dire no” e “vaffa” ad ogni cosa, anti-retorica che diventa retorica e stufa, senza aspettare granchè, e dire che il disco vi ruberà un’ora, frazionato (ma che bella trovata!) in 71 (lo ribadisco a lettere, come sugli assegni: settantuno) tracce-schegge-frammenti cui corrispondono una decina di bersagli su cui Uochi Toki scaglia la propria acrimonia. Un ascolto basta e avanza, non chiedetemi di andare a riesaminare questi contenuti per trovarci qualcosa di buono. Non gliela faccio. Più.
Autore: Roberto Villani