La gente, si sa, ha bisogno di storie. Non necessariamente di “grandi storie”. Anche di piccole questioni personali, magari, purché siano interessanti da raccontare e da ascoltare.
Non c’è da stupirsi, quindi, che l’anno scorso il nome delle Cocorosie sia stato un po’ sulla bocca di tutti (di tutti quelli che bene o male bazzicano attorno alla musica indipendente, ma non solo). Due sorelline carine e misteriose, vissute separate e poi ritrovatesi e rese inseparabili dalla musica; la relazione di una di loro col giovane freak scapestrato Devendra Banhart (finalmente un po’ di gossip nel serioso mondo dell’indie rock…); la figura di una madre dalla presenza un po’ incombente…
La storia di Sandra e Bianca Casady ha contribuito a montare un hype notevole attorno al loro primo disco, “La Maison de Mon Reve”, che personalmente ho trovato stucchevole e spaventosamente sopravvalutato. Un disco furbetto, dove canzoncine folk-pop venivano ricoperte di glitch, strumenti giocattolo e stramberie varie, così da suonare più interessanti e cool. “Noah’s Ark” presenta un campionario simile di minuterie folk-troniche, cantautorato in bassa fedeltà, vocine stridule e passaggi dolenti in cui aleggia il fantasma di Billie Holiday. Un disco dal mood scuro, quasi sinistro, in certi momenti. Canzoni delicate come fiocchi di neve che si sciolgono sul palmo di una mano; fragili, fragilissime (per non dire “inconsistenti”…).
Tra gli ospiti, oltre al su citato Devendra, spicca la presenza di Antony (altra “storia” interessante, no?), il cui vocione dona spessore (e pathos) ad un paio di episodi del disco, ma soprattutto contribuisce a rendere “Beautiful boyz” uno dei migliori momenti del cd. Nel complesso, resta ancora una volta il rammarico nel constatare l’assenza di canzoni degne di essere ricordate più a lungo della loro durata.
Autore: Daniele Lama