Dal freddo Alaska, lo avreste detto? Vero è che dalle stesse fredde terre all’estrema periferia degli States proviene pure la starlette Jewel, ben più apprezzata in ambito major/teen (alla nostra età ancora ad occuparci di indie e demo: Dio ci scampi dalla sensazione di sentirci una band a di sfigati…), ma in fondo la vastità del globo terrestre dovrà pur manifestarsi ogni tanto in qualcosa (“The Worldhood of the World”: con tale album-title i No Means No esemplificavano alla perfezione ciò che voglio dire). Chiacchiere a vuoto, ma d’altra parte, quante parole è possibile spendere per un demo non eccezionale come “Harlequin”?
Demo che comunque resta nella media, e forse anche meglio, di quelli provenienti da oltreconfine: ottimo packaging, ottima registrazione. E poi Rory Merritt Stitt, a parte il curioso idioma del suo website (da lui battezzato “roryish”), svocalizza niente male, tarantolato com’è tanto da Joni Mitchell che da altri grandi talenti del pop, tanto sprecati (qualcuno in redazione, più a giorno di me sull’andamento delle charts, abbozza anche un Robbie Williams) che no (Bowie e Prince, come “modestamente” recita la sua stessa bio).
Voce a parte, il sound di RMS poppeggia come potrebbe bene apprezzarsi non solo tra le mura domestiche, ma anche davanti a una birra in qualche affollato bar. Piano, chitarra, batteria, un gruppetto simpatico che non morde manco a prenderlo voi a morsi, ma lieti, sì, potrebbe rendervi anche a sufficienza.
Autore: Bob Villani