Ricordate il cartone di inizio anni 80 “Topomoto e Autogatto”, con le seconde puntualmente schiumanti rabbia (“chicaboom chicaboom”, sbuffavano – o era una delle moto? il tempo passa…) per gli sbeffeggi subiti dalle prime, più snelle e astute? Me le ritrovo proprio adesso, personificate come meglio non si potrebbe in questo outfit che rende ancora più ganze le vicende musicali di San Diego.
Un duo misto – il modo migliore per mettere d’accordo i sessi sull’appeal e la matrice della musica – in cui trovano posto Emily Joyce, voce e batteria, e Rafter Roberts, voce e chitarra, finalmente “dentro” un progetto anziché esserne produttore o ingegnere. Più un bel po’ della Southern California musicale, più (Castanets) o meno (Black Heart Procession, Pinback, Rocket From The Crypt) habituè della “gattina asmatica”. E aldilà della carta d’identità così come sfoggiata nel titolo, è il sound pimpante dei Bunky a raffigurare con precisione una scorribanda in moto, piena di curve, sgommate, frenate brusche e ripartenze.
Per soli 10 brani e 36 minuti tanto vale scorrerla tutta, la tracklist (evidentemente ne vale anche la pena, ma giudicate voi): ‘Baba’ è il classico opener al fulmicotone, di quelli che spalancano le orecchie per il singolo che segue subito dopo. E puntuale eccolo – almeno idealmente, è quello che si presta meglio al ruolo –, ‘Yes/No’, ovvero i Pixies con una tromba blues (forse la vera chiave di volta per mettere i Bunky da una parte, tutto il resto dall’altra – ma ne riparliamo) in line-up. ‘Funny Like the Moon’ sembra concedere un attimo di respiro, ma l’illusione è breve: lusinga sexy in apertura, schiaffo punk-rock dopo (con title-refrain), lusinga, schiaffo. ‘Mi Ami’ dei CCCP, come struttura, per intendersi. Laddove ‘Gotta Pee’ è il lollipop punk che la K Records ha smesso di fare dai tempi di C.O.C.O. e All Girl Summer Fun Band (mai comunque su questi livelli).
Una moto pop-punk, quindi, che in quanto mezzo di trasporto offre possibilità di spostamento in altri territori, quasi dei raid in terra altrui per apprendere qualcosa, anche se sempre con l’aria indisponente del monello che scimmiotta nel ripetere l’esempio del docente. ‘Boy/Girl’, quindi, una “finta” alla Blonde Redhead con Emily che svocalizza come Kazu, solo molto più solare e, ovviamente, ironica, mentre ‘Chuy’ è l’indie-rock con chitarre “crunchy” di mezza America.
Rieccole le trombe, stavolta sottili e suadenti, in ‘Cute Not Beautiful’ – carezza, stavolta sì, seria, ma con finale arrembante – e ‘Glass of Water’, ovvero l’indie-rock ai tempi del vaudeville, palcoscenico richiamato anche dagli applausi che cuciono i due brani; e ancora, tinte di tiepida e quasi compiaciuta malinconia, in ‘Heartbunk’, fino a sfumare nel conclusivo crepuscolo di ‘Lipstick Life’, ovvero gli Stereolab più lounge con un po’ di chitarrina alla Guv’ner in un soft-movie di inizio anni 70. Se tutto questo non vi garba, non cambiate gruppo. Cambiate passione.
Autore: Bob Villani