Immobili e creativi come pochi altri gruppi del panorama indie-pop i Low più che distruggere, con l’ultimo lavoro hanno dimostrato di saper costruire, seppure in maniera confusa, ma sempre di saper “costruire”.
In fondo la confusione non sta alla base della creatività? Per comodità “The great destroyer” lo incaselliamo nel genere indie-pop, appunto, ma in realtà ha una complessità che va oltre un semplice genere ed abbiamo la presunzione di dire che ci troviamo in presenza di un album seminale, forse che resterà di culto, ma che senz’altro sarà un punto di riferimento per chi vuole seguire la strada del pop, dato che il trio di Duluth riesce a riscrivere le regole del genere. “The great destroyer” è caratterizzato da suoni a volte urticanti, come nel lo-fi, paradossalmente grandioso dell’iniziale “Monkey”, altri più legati alla psichedelia come nel pop enfatico di “California”. La complessità si dipana nelle tensioni di “Everybody’s song” o nelle ballate che siano circolari come il Neil Young dei ’90 (“Just stand back”) o tristi ed oniriche (“On the edge of”), passando per la perfetta pop-ballad (“Step”) ed il folk acustico (“Death of a salesman”). “The great destroyer” è un lavoro che va metabolizzato con calma, proprio in virtù della sua complessità.
Autore: Vittorio Lannutti