Gennaio 2005 per chi legge, ancora Dicembre 2004 per chi scrive. Notoriamente l’ultimo mese dell’anno non riserva grossi botti discografici, tant’è che già dai primi del mese va di scena una corsa al cardiopalma a chi per primo dirama la playlist 2004 – altrettanto dicasi per tutte le partizioni dell’attualità, con lo tsunami indiano-asiatico a insegnarci come occorra attendere la mezzanotte del 31 per tracciare bilanci d’ogni sorta.
Saldi di fine stagione quindi? Certo è che di materiale in redazione ne arriva meno che in altri momenti dell’anno. Ed è forse una circostanza da benedire se è questo il presupposto per passare in rassegna dischi altrimenti, con buona probabilità, negletti. Oggi sul lettore gira la misconosciuta Lubelski: nome di città russa, cognome altrettanto slavofono. Americanissima (New York City, la cui scena folk si fa, paradossalmente, sempre più rumorosa in sede di media) di passaporto, però, e anche con un pedigree abbastanza nutrito. Due militanze su tutte – mai da frontman, come si può intuire: The Sonora Pine (in cui “primeggiava” invece Tara Jane O’Neil) e Jackie-O Motherfucker, passando per gli art-rockers tedeschi Metabolismus e il folk arcano dei Tower Recordings. Ma è sui primi due nomi che va rivolto il nostro sguardo per narrare di “The Fleeting Skies” – in ossequio a un principio di “osmosi creativa” emittente di influenza reciproca tra formazioni che abbiano in comune uno o più componenti –, vuoi per il limitato range dei nostri ascolti pregressi, vuoi per una miglior “masticabilità” del “prodotto” in questione.
Si tratta quindi di monitorare l’emergere di aspetti già noti degli artisti citati, con cui Samara abbia avuto contatto – una delle possibili letture del di lei lavoro. Della Tara Jane O’Neil solista riprendiamo quell’indie-folk morbido e soffuso, nei suoni e nelle vocals – come se in funzione ci fosse una sorta di meccanismo dentato che del sound vada a ridurre il registro tonale –, malinconico e spettrale nel mood, laddove il “rigurgito sonoro” di Jackie-O – tenuto comunque a bada da un approccio sostanzialmente pop alla materia musicale – può essere rintracciato nei lontani echi del magmatico carillon di chitarre trattate che caratterizza le suggestioni dream-psych del combo newyorkese.
Il quadro di “The Fleeting Skies” (concepito nel campo base dei Metabolismus, nei pressi di Stoccarda, e realizzato, oltre che con alcuni componenti di questi, con altri ex-mates dei Tower e col chitarrista Marc Moore, già al servizio di Cat Power e Lynnfield Pioneers) si completa con le carezze di un violoncello, capace, oltre che di ammaliare, di dare un tocco da “sonorizzazione” a brani come ‘Immortal Design’ (in cui fa capolino anche un flauto) e – interamente strumentale – ‘Follow You’. Se questi sono saldi, allora, si tratta di un ottimo affare…
Autore: Bob Villani