Benchè i ricettori musicali siano perennemente operativi e con tempi di elaborazione da androidi (no, non è il futuro – si chiama “rincoglionimento”, nella componente benefica dei suoi effetti), siamo ancora in grado di percepire il “cuore” di una canzone o un disco: quanto cioè un gruppo abbia da dire di “denso”, e da aggiungere, in maniera sostanziale, a quanto già esistente. Sotto questi punti di vista i Frausdots potrebbero essere tra i prossimi beneficiari di un corso d’aggiornamento indetto da qualche ideale “Dipartimento dell’Indie Rock”. Ma il punto risulta alquanto controverso nel momento stesso in cui mi salta alla mente.
Perché, e come, ascoltare il debut album di questo duo misto (lui, Brent Rademaker, Beachwood Sparks nel suo curriculum, su cui ricade la maggior parte del lavoro di idee e azione; lei, Michelle Loiselle, in posizione più defilata – e un bel po’ di ospiti fuori line-up) losangelino? Forse può risultare d’un certo interesse scoprire che la metropoli californiana non vive di solo neo-punk “borghese” o, al contrario, di crossoveristi e rappers incazzati, e che esiste anche, forse soprattutto lì, una nightlife fatta di incontri raffinati, piena di luci, mondana e altolocata, e che di questa esiste una filiazione musicale, in forte odor di quegli anni 80 mai più di ora re-incombenti. Ecco, i Frausdots sembrano voler essere la voce di una simile realtà anche se in un contesto indie. I dubbi riguardano proprio la conciliabilità di queste due circostanze: come la mettiamo con una Sub Pop sicuramente più preoccupata ad affermare fattispecie più genuine (il pop intelligente degli Shins, l’avanguardia easy dei Postal Service, la rudezza acid Comets On Fire, e le imminenti “big figures” Low e Sleater Kinney, appena entati nel roster dell’etichetta di Seattle), che peraltro vendono anche bene?
A fronte quindi della brillante new-wave di ‘A Go-See’ e del melò-rock di ‘Broken Arrows’, c’è poco di buono da annotare. Questione di stile: non ci attira molto una simile “versione light” di benessere decadentista (‘Fashion Death Trends’ scimmiotta persino i Cure, il cui Roger O’Donnell figura tra i guest musicians). E questione di “densità”: qualunque tinta vogliano assumere, i Frausdots la rirpoducono sbiadita – “light”, appunto –, sia essa synth-pop, melodica o rock. Ne risulta un’aura di banalità e superfluità di cui fatico a individuare i potenziali beneficiari. Semmai ci sono.
Autore: Bob Villani