Nuovi frutti cascano dall’albero della partnership Trans Am + Fucking Champs. Di tempo ne è passato tutto sommato: era il 2001 quando, con inversa combinazione dei rispettivi metà moniker (Trans Champs), uscì su Thrill Jockey “Double Exposure”. Laddove per i Fucking Champs questi 3 anni non hanno fruttato che il quinto, ancora “untitled” (“V”) album, la band di Philip Manley è stata decisamente più attiva, con due EP (“TA” ed “Extremixx”) e il recente album “Liberation”.
“Gold” è anche, a differenza del citato predecessore, il primo lavoro propriamente su lunga distanza di questa bizzarra joint venture tra metal pre-90s ed electro-rock, quasi a volerne affermare una presenza più “istituzionale” del pensabile. Ed in effetti è proprio un’istituzione quella che occorre per combattere, nel panorama indie – fuori quindi dall’ambito “metal-con-i-paraocchi” tutto chiodo e lunghe chiome –, l’arrogante avanzata di quel metal “nuovo” che, nel proporsi come ”alternativa” a quello “classico”, quasi non si rende conto di star profanando “l’altare dell’acciaio” su cui, dai Manowar in giù, i metallari di mezzo mondo hanno pronunciato il loro (eterno?) giuramento. Sacrilegio peraltro aggravato dal fatto di opporre, al classico lindore chitarristico, un ronzio crunchy e posticciamente “cartonato” – di cui è facile preconizzare l’imminente spazzamento dalla prossima minima brezza di trend –, oltre che dal carattere spesso esplicitamente “market-oriented” di Korn e soci (il filo-hiphop “nu” streetwear macina un fatturato ben più voluminoso della cara vecchia pelle…).
Perché non i vecchi classici, allora, visto che continuano eccome a tener botta?! Il punto è che nella musica come in tutti gli altri campi dell’umano agire non ci si può sempre guardare indietro, a meno di non assimilare quanto può essere funzionale al riportare lo sguardo avanti. Quanto poi all’audience di riferimento, non si vive di solo Metal Hammer. Si tratta, come accennato, di restituire dignità e credibilità al vecchio metallo nel “raffinato” mondo indie.
Un’operazione del genere appare delicata: si tratta di svecchiare, alleggerire la materia dei “maestri” senza però mancargli di rispetto. Un po’ come fare il verso a un vecchio zio cui tutti vogliono bene in famiglia. E i Trans Am sono forse le persone giuste per un’operazione del genere, essendo riusciti, un po’ come Bobby Conn, a farsi apprezzare per una voluta ambiguità “intellettual-tamarra”. Alla manovalanza più spiccia ci pensano i Champs.
Risultato: soddisfacente. Nel senso di far apprezzare, pur se con spirito di “esotismo stilistico”, un’incursione nel classicismo metal anche a chi metallaro non è. Se pensate che l’iniziale ‘Bad leg’ sia un immane sforzo di accettazione, lasciate scorrere il disco e attendete: ‘Doing Research for an Autobiography’ raccoglie tutti i fronzoli sonori dei Deep Purple – hammond compreso –, ‘Taking Liberties’ è a.o.r. con tanto di cantato in tonalità alte, ‘Powerpoint’ è senza mezzi termini prog-metal con barocchismi chitarristici; né manca, come si conviene, la conclusiva e teatrale “trilogia” (‘Gomez’), nelle modalità ‘Acoustico’, ‘Elastico’, ‘Electrico’. Ad evitare che veramente possano venirci giù lunghi riccioli fino a metà schiena c’è forse il post-metal limaccioso e tutt’altro che lucente di ‘The Gauntlet’, che, unica “voce fuori dal coro”, non sposta l’asse che le due band hanno voluto fissare per “Gold”. Questione di attitudine: anche il metal può essere ganzo…
Autore: Bob Villani