Non farà notizia come quello dei Pixies o – come di recente annunciato – degli Slint, ma anche il ritorno alle scene dei Bark Psychosis è degno di entrare nella cronaca di questo 2004. E se Frank Black e soci hanno fatto (“faranno” nel caso della band di Lousiville) la loro ricomparsa dal vivo anziché in studio, quest’ultima è invece la modalità della ricomparsa – ma nessuno scioglimento è stato mai ufficializzato – da parte degli autori di “Hex” – loro “breakthrough” album 10 anni fa – hanno realizzato con “Codename: Dustsucker” (e il pensiero corre allora ai Mission Of Burma, altro eccellente comeback di quest’annata sonora).
A proposito di “Hex”, la storia dice che fu quel disco la circostanza perché si utilizzasse per la prima volta, in sede di recensione, il termine “post-rock”. Questione di termini, appunto, e non di vera e propria sostanza. Già che li abbiamo citati, sono proprio gli Slint ad essere considerati i “padri” del post-rock. Ma visto anche che la band di Graham Sutton operano al di qua dell’oceano e al di là della Manica, il discorso si fa più complesso e, soprattutto, affonda più a ritroso la sua genesi. Era infatti la seconda metà degli anni 80 quando i Talk Talk impressero al loro sound, fino ad allora pop da classifica, una direzione più “arty”, attenta ai dettagli sonori anziché al formato, meno-canzone-più-composizione (i brani presero ad allungarsi).
Qualcuno ha anche provato a candidare la band di Mark Hollis per la paternità di “quel” genere, e non a torto. Prova ne sono anche i segni tangibili di come i Bark Psychosis sembrino aver ripreso quelle intuizioni – fermo restando che dai Talk Talk si può ritenere abbia origine anche la direttrice del “dream pop”, concretizzatosi di lì a un paio d’anni –, adattandole a un mood più ambientale, più orientato al drone, in cui le emozioni vengono trattenute. Una “ritenzione” e un “ambientalismo” che avrebbero trovato piena espressione nel filone “bristoliano” del genere – cui i Pan American, negli States, fanno da specchio – laddove Lousiville e Chicago hanno espresso tutt’altro stile, vuoi più geometrico, più ancor più “neutro” (Tortoise, per fare un esempio), vuoi dall’approccio jazz.
Se gli sbadigli non hanno già preso il sopravvento, quanto detto è funzionale per tracciare un profilo sulla band inglese, almeno fino al loro eclissamento. Da quel 1994 i Bark Psychosis non sembrano aver compiuto grossi passi avanti. L’anticipo su un bel po’ di cose che “Hex” realizzò viene “bruciato” da questo “Codename: Dustsucker” (tra i cui ospiti figura Lee Harris, ex batterista proprio dei Talk Talk – quanto alla Fire, che etichetta è?!), come se la storia avesse recuperato terreno su Sutton e soci, ora perfettamente integrata nel suo tempo di appartenenza. Il sound avanza lento e discreto secondo – come si conviene – poche evidenti “direzioni”, brillantemente sospeso tra rarefazione ambient (corroborato da una voce che si schiude soffusamente) e qualche sottile sfumatura jazz. Il tempo trascorso, nell’alimentare ulteriori – e legittime – aspettative, fa sì che al “mosaico” di questo ritorno manchi qualche pezzo. Siamo comunque una spanna sopra molti dei lavori che piovono in redazione: meglio averceli anzichenò i Bark Psychosis…
Autore: Bob Villani