Crauti digitalizzati e impacchettati in doppio formato famiglia per un numero complessivo di ventisei brani. Sguardi al passato rivolti al futuro. Nuove promesse che già si atteggiano a certezze.
Medaglia d’oro ai Kammerflimmer Kollektief che non riescono a rinunciare per nulla al mondo a suoni e strumenti vintage, anzi li inneggiano in un’intensissima “Vigilia”, che apre il secondo disco, mentre in “There’s a weight on you, but you can’t feel it”, che chiude il primo, è facile comprendere che il collettivo ha ben studiato e ancora meglio applicato la lezione lasciata dalla vecchia guardia a mo’ di solco per i posteri. Un po’ il senso generale che si avverte è proprio un rimpasto, con la differenza, oggi, del fattore terzo millennio, di quel produttivo movimento che caratterizzò la fine degli anni sessanta fino all’inizio degli anni ottanta, e che dal nulla creò un miscuglio di pop, rock, ambient, noise e varie, ben mescolato in un pentolone sperimentale anche grazie alla diffusione all’epoca di nuovi, strani strumenti musicali. Un inno al passato più sperimentale che in parte è interrotto solo da qualche eccezione tipo The Kat Cosm, che con la loro “My letter of fate I write for you tonight”, eventualmente adatta nel caso volesse conquistare un partner come da veri e garbati gentiluomini, lascia intendere un raffinato quanto insolito romanticismo!
Vivi complimenti anche a Joseph Suchy, che oltre ad essere tra i fautori di questa compilation, in “Calabi.you”, si presenta anche come un buon performer.
Non ci sono giudizi invece per un’indescrivibile “T-electronique” firmata dai Faust che incrociano il rapper Dalek, due culture musicali a confronto e che quasi per magia si sposano alla perfezione.
Non è l’unico caso questo di ensemble tra musicisti: come già proposto nell’encomiabile “A way to find the day”, i Mapstation di Stefan Shneider si appoggiano per la voce a Ras Donovan, cantante Reggae che predica in continuazione un “Jah Bless you”, su di una base tecnica e precisa in “Be true”, ottimo il risultato raggiunto proprio come già descritto in precedenza. Ancora: l’amico John Frusciante che si presta agli LFO dei synth degli Ekkehard Ehlers, oppure Thilges 3 + Asim Al Chalabi, in una “Izdiucz”, dallo strano sapore di un Kebab in un nightclub. Ci sarebbero in verità anche [3/TAU] boris d Hegenbart con Martin Siewert, di nuovo gli Ekkerhar Ehlers con Joseph Suchy e Franz Hautzinger oppure Oren Ambarchi con Keith Rowe… però basta, altrimenti vi faccio passare lo sfizio e la voglia. Sento il dovere di menzionare però, anche i Sun, un po’ i Dinosaur Jr. dell’elettronica, oppure Michael J Schumacher che di certo non saprà guidare una monoposto della Formula 1, ma che in compenso canta e smanetta una favola su di un altro tipo di macchina, a lui va la mia personale Coppa Indiepop, edizione ultimi mesi 2004.
L’asse Colonia – Berlino è quanto mai fervido. Si odono gli echi di fusioni di electropop ed experimental music: un nome tra i tanti? Klangwart, prodigio della tecnica e della natura, tipo Harry Potter per intenderci.
Staubgold che ci riprova a due anni di distanza da “Music out of place”, che ha lanciato nel firmamento parecchi nomi ora noti, ma soprattutto ancora più forte anche grazie al cartello con la label Quecksilber che ha incrementato la gamma di musicisti in palio: Paul Wirkus, AGF e Loop Orchestra, acquistati nel mercato di riparazione, mostrano i denti e completano il tutto con ulteriore qualità.
Germania, araba fenice e interminabile fonte di movimenti e collaborazioni che si riscopre ancora una volta protetta da una robusta corazza di musicisti underground che realizzano musica di carattere, colta, moderna, eclettica e piacevole. Fermento nato anche grazie al seguito ereditato negli anni e perché no, forse anche dal semplice fatto che da un vecchio Synth o da un “banale” computer vengono fuori centinaia di suoni e di effetti che solo se assoggettati alle idee o alla capacità creativa di un valido musicista allora fuoriescono esperienze tipo questa.
Qualche malpensante potrebbe invocare ad una sorta di ripetitività, di monotonia, probabilmente evidenziata dai fattori e dalle teorie di cui sopra, ma personalmente, più che ripetitivi io penso che ognuno, dall’organizzazione alle band, in questa raccolta, ha saputo fare tesoro delle esperienze e delle capacità altrui e questo è il senso reale del teamwork.
Autore: Luigi Ferrara